di Francesco Lorenzetti
Forse pochi sono a conoscenza del fatto che l’unica costituzione europea che faccia esplicito riferimento al diritto naturale è quella tedesca. Particolarmente provata dall’esperienza del totalitarismo nazista, la Germania tentò alla fine della guerra di darsi un assetto costituzionale che potesse dare le maggiori garanzie contro il ripetersi di quella esperienza abominevole. All’epoca, come ho avuto modo di dire più volte, molti giuristi di tutto l’occidente cominciarono a criticare la prospettiva della “dottrina pura del diritto positivo”, eppure in quel confusionario periodo che fu il dopoguerra la maggior parte (per non dire tutte) le potenze europee puntarono su regimi giuridici basati sul dogma della riduzione del diritto alla legge. Anche in Italia, dove la maggioranza dell’assemblea costituente era ostile a tale impostazione (ricordiamo la massiccia presenza di cattolici) si optò per una costituzione che tutelasse i diritti individuali elencandoli, tipizzandoli e positivizzandoli. Il motivo, a mio modesto parere, fu la mancanza – in quel dato momento storico - di una seria alternativa allo scetticismo kelseniano, giacché nessuno sembrava (al di là di pose folkloristiche) davvero disponibile a ritornare ad una prospettiva dogmatico-giusnaturalista la quale, nella sostanza, sembrava ormai condannata dalla storia. E la ragione era anche condivisibile, poiché il giusnaturalismo non risolveva alcunché: anch’esso elencava e tipizzava i diritti dell’uomo, con l’unica differenza che pretendeva di fondarli filosoficamente anziché politicamente.
Ma in Germania i costituenti anticiparono una soluzione originale e molto interessante, la quale superava il positivismo senza volerlo eliminare del tutto, continuando sulla via tradizione della “certezza del diritto” ma al contempo accettando l’idea di un diritto naturale indefinito ma pur sempre presente e vivo.
Ciò fu codificato nell’art. 20, che afferma: “...il potere esecutivo e la giurisdizione sono vincolati alla legge ed al diritto”. Quest’ultima espressione ci dice due cose: che legge e diritto non sono la stessa cosa, non risolvendosi il secondo in ciò che è stabilito dalla prima, giacché potrebbe esistere una norma di diritto non codificata nella legge e pure, al limite, una norma di legge che vada contro diritto; e poi che la giurisdizione è sottoposta non soltanto alla legge positiva, ma anche al Diritto extra-legislativo.
Questa formulazione mi pare particolarmente intelligente, poiché postula l’esistenza di un diritto assoluto pre-statuale con cui fare i conti, pur riconoscendo che tale diritto è sfuggente e difficilmente intelligibile, e che perciò è necessario anche il diritto positivo come strumento di ordine e certezza.
I risvolti pratici di questa impostazione non sono di poco conto. Se, per ipotesi, un secondo Hitler tentasse oggi di prendere il potere, la Repubblica tedesca si dimostrerebbe certamente più forte grazie agli anticorpi forniti dall’art. 20, capace di fungere da “salvagente” in casi limite di un pericoloso deragliamento delle istituzioni e del diritto positivo. Ma, più in generale, è degna di nota l’ammissione della necessaria incompletezza del diritto positivo, e della consapevolezza dei pericoli insiti nella riduzione del diritto alla legge.
Rimane, ad ogni modo, il problema di definire con una certa precisione qualcosa che molti considerano al di là degli sforzi della comprensione umana: il diritto assoluto, indisponibile, naturale. Ma, dico io, questo è in fondo un problema ontologico dell’essere umano, e a nulla vale il fare finta di crogiolarsi nella certezza: tutti noi navighiamo nel dubbio, e ogni nostra scelta è compiuta basandosi su un numero limitato di informazioni incomplete, incerte e parziali.
4 commenti:
"Ma, dico io, questo è in fondo un problema ontologico dell’essere umano, e a nulla vale il fare finta di crogiolarsi nella certezza: tutti noi navighiamo nel dubbio, e ogni nostra scelta è compiuta basandosi su un numero limitato di informazioni incomplete, incerte e parziali."
A conferma che tutto è relativo...
"tutto è relativo" è un'affermazione assoluta...
Infatti.
Dall'articolo si possono apprezzare gli strumenti analitici che solo un giurista può possedere: a me non sarebbe mai venuto in mente di fare ricognizione sui testi costituzionali attualmente in vigore.
Dall'impianto filosofico adottato in Germania, tra l'altro, forse è possibile inferire il perché della grande "prudenza" a cui è improntata la legislazione tedesca sui temi cosiddetti "eticamente sensibili". Sarebbe interessante fare una ricerca...mi segno l'idea sul taccuino, dopo le altre mille che vengono prima. ;-)
Ci si vede stasera, Francesco.
Quel diritto (naturale) a cui si riferisce l 'art. 20 Cost. Tedesca trova in fondo il suo fondamnto nel diritto positivo. Attraverso un rinvio di quell'articolo,il quale è una norma positiva,le norme di giustizia del diritto naturale(non si sa quali siano con esattezza) son riprodotte sub specie iuris,si convertono in norme positive. Si può comunque sostenere che quella norma,espressa dall'art. 20 Cost. Tedesca sia un prudente artificio del costituente per ostacolare le cc.dd. cattive intenzioni del potere costituito mediante una clausola generale. Ma la vaghezza di quella norma rende impossibile la realizzazione dello scopo del costituente Tedesco, che è raggiunto fortunatamente mediante altre norme positive e meno ambigue,e poi anche attraverso norme internazionali(generali o convenzionali)positive. mi si potrebbe obbiettare che il citato art. 20 semplicemente richiama il suo fondamento con una semplice asserzione. Ma studiando bene il tenore delle parole si evince una vera e propria prescrizione: il costituente comanda al potere costituito(legislatore, giudice...) di attenersi al diritto (naturale). Ah. W il maestro Kelsen di Praga.
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