giovedì 5 febbraio 2009

COME STUPRARE UNA BAMBINA E VIVERE FELICI

di Francesco Lorenzetti

Sulla giustizia penale esistono vari luoghi comuni. Il primo in ordine di importanza e diffusione è senz’altro che in Italia “le leggi ci sono, basterebbe farle rispettare”. Si sente questa frase ovunque, dai bar alle fermate dell’autobus, e di volta in volta essa acquisisce sempre maggiore credito presso la popolazione, la quale è portata a credere che la legge, come avrebbero voluto le speranze illuministe, possegga ancora una certa validità, e che i disservizi e i problemi di ogni genere che si riscontrano nella prassi siano quasi esclusivamente da attribuire alle manchevolezze degli operatori del settore.

A chi la pensa in questo modo è dedicato il seguente articolo, nel quale mi divertirò in un gioco che già il magistrato Bruno Tinti aveva tentato con successo, quello cioè di indignare i lettori con un esempio teorico di applicazione pedissequa delle prescrizioni del codice penale ad un reato di particolare gravità, così da metterne in evidenza le aberranti conseguenze sul piano sanzionatorio e dimostrare una volta per tutte che non basta “applicare le leggi” e che urge anzi un vigoroso ripensamento riguardo all’intera impostazione codicistica.

Bruno Tinti, nel suo libro “Toghe rotte”, porta l’esempio dell’omicidio. Io vorrei invece usare quello di un reato solitamente percepito come meno grave, ma che secondo la mia opinione è in realtà, per chi lo commette, il segnale di una pericolosità sociale e di una tendenza a delinquere del tutto simili a quelle proprie di un assassino. Sto parlando, ovviamente, della violenza sessuale.

Ne parla la parte speciale del codice agli articoli 609 bis e seguenti, dove si prendono in considerazione varie ipotesi riconducibili alla figura criminosa in esame. Per il nostro esempio prenderemo il caso di una violenza aggravata dalla giovane età della vittima, ricadendo così nella previsione dell’art. 609 ter (minori di anni 14), e per sovrappiù mettiamoci anche l’aggravante delle sevizie, immaginando che il reo abbia anche picchiato o torturato la vittima.

Partiamo dal primo dato: l’articolo citato prescrive che per chi stupra una bambina la pena edittale sia la reclusione “dai 6 ai 12 anni”. All’interno di questo spazio il giudice ha la facoltà, secondo il disposto dell’art. 133 c.p., di commisurare la pena “in relazione alla sua gravità”. La prima cosa da tenere presente, però, è che la giurisprudenza pressoché costante tende a commisurare la pena nel minimo edittale perciò la base di partenza in questo caso è sempre, nella prassi, 6 anni. Le motivazioni di questo atteggiamento giurisprudenziale sono complesse, e andrebbero analizzate in separata sede. Ci basti sapere che la valutazione sulla “gravità del fatto” è tendenzialmente demandata al giudizio di bilanciamento aggravanti/attenuanti legislativamente tipizzate ex art 69 piuttosto che al generico e atipico apprezzamento del giudice ex art 133, il quale pone gravi problemi interpretativi a causa dell’ampiezza della sua portata.

Ora, se contro il reo esistono prove schiaccianti, e questo non è completamente scemo, sceglierà di essere giudicato attraverso il cosiddetto “rito abbreviato”, per il semplice motivo che tale procedimento, oltre ad essere più veloce e meno costoso, garantisce automaticamente all’eventuale condannato uno sconto di pena di 1/3. In questo modo arriviamo ad un massimo di 4 anni.

Ma neanche per idea li diamo al nostro stupratore. Infatti, bisogna tenere conto, come ci insegna il nostro sistema buonista e cattocomunista, che un criminale non ha mai tutta la colpa per quello che fa. La colpa è sempre della società, del papà che lo picchiava, dell’ambiente degradato in cui è vissuto, del fatto che da piccolo non gli hanno regalato il trenino ecc. Tutte cose che, a norma dell’art. 62 bis, vanno a costituire le cosiddette “attenuanti generiche”, ultimo ritrovato in fatto di civiltà giuridica, le quali garantiscono un ulteriore sconto di pena fino ad 1/3. E tenete presente che, nella prassi applicativa, non esiste caso in cui queste attenuanti non siano concesse, tanto che qualcuno ha scritto che esse sono diventate “come un bicchier d’acqua che non si nega a nessuno”.

Ma voi mi farete notare che prima ho parlato anche di aggravanti dovute alle sevizie, sicché come tutte le persone sensate vi immaginate che le aggravanti e le attenuanti si sommino in un calcolo “a partita doppia”, per così dire. Purtroppo però le cose non funzionano affatto così, e il buon senso anche in questo caso non ci serve a molto. Quello che deve effettuare il giudice in caso di compresenza di attenuanti e aggravanti è piuttosto un “giudizio di prevalenza” delle prime o delle seconde: se prevarranno le prime, si applicheranno solo quelle, e viceversa nel caso contrario. Dispone infatti l’articolo 69 c.p. “Se le circostanze attenuanti sono ritenute prevalenti su quelle aggravanti, non si tiene conto degli aumenti di pena stabiliti per queste ultime”. Sconcertante, vero?

E non serve aggiungere che, naturalmente, non si registrano nella prassi applicativa casi di prevalenza delle aggravanti sulle attenuanti. Prevalgono sempre le attenuanti, anche perché la loro applicazione è molto più facile e flessibile (si pensi all’esistenza delle suddette attenuanti “generiche”, o dell’attenuante automatica in caso di risarcimento del danno). Inoltre, le attenuanti possibili - contrariamente alle aggravanti - sono parecchie e anche molto fantasiose (vedi art. 62): “L’avere agito per motivi di particolare valore morale o sociale” (no comment); “L’avere agito per suggestione della folla in tumulto” (sigh!); “L’avere agito in stato d’ira” (infatti tutti sanno che è più grave se uno esegue un delitto con calma e tranquillità) ecc.

Torniamo così al nostro caso di scuola: con l’applicazione di una sola attenuante (poniamo generica) siamo a 2,6 periodico anni di reclusione. E qui vi lascio con due possibili finali, nessuno dei due molto rassicurante: nel caso il reo risarcisca il danno alla vittima, ottiene un ulteriore sconto di 1/3 che lo porta al di sotto dei 2 anni, limite massimo per l’applicazione della cosiddetta “sospensione condizionale della pena”, che è una sorta di perdono giudiziale senza alcuna conseguenza penale.

Nel caso, invece, il reo non riesca o non voglia risarcire il danno, non andrà comunque in galera perché al di sotto dei 3 anni (eravamo a 2,6) c’è il cosiddetto “affidamento in prova ai servizi sociali”, che lascia libero il condannato sotto la guida di un assistente che gli farà periodicamente visita per aiutarlo a reinserirsi in società.

A questo punto, di solito c’è chi obietta che, almeno, la sentenza può essere utile come “ammonizione” al reo, data la disciplina della recidiva che solitamente si vede nei film. Tutti, infatti, siamo convinti che, come accade nei polizieschi americani, chi ha già commesso un reato rischi un trattamento sanzionatorio di particolare gravità nel caso ricada nel comportamento criminoso. Sicché a conclusione del mio esempio si potrebbe dire che, almeno, il reo difficilmente tornerà a delinquere, e che se lo farà le conseguenze saranno, finalmente, proporzionate alla sua pericolosità sociale. Anche questa convinzione è molto diffusa, ma purtroppo errata, almeno nel nostro paese. In Italia, la recidiva è considerata soltanto un’aggravante, perciò per i motivi sopra spiegati finisce sempre per essere accantonata assieme alle altre aggravanti nel “giudizio di prevalenza” di cui all’art.69 c.p. Di essa, di fatto, si tiene conto soltanto ai fini di alcuni effetti penali secondari che è inutile elencare.

Dunque, riepilogando: un tizio prende una bambina, la picchia e la stupra, poi subisce un processo veloce detto “rito abbreviato”, viene condannato, ma se ne torna a casa come nulla fosse successo a seguito di una sentenza di sospensione condizionale o di affidamento ai servizi sociali. Addirittura, se volesse, sa che potrebbe anche ripetere l’esperienza delittuosa, e le conseguenze sarebbero le stesse. Il tutto, naturalmente, a norma di legge, per cui il delinquente alla fine del gioco potrebbe anche avere l’impressione che, in fondo, non ha commesso un atto tanto grave.

26 commenti:

Anonimo ha detto...

Bravo Francesco, avrei voluto scriverlo io questo post. E' evidente che la giustizia italiana ha delle pecche che nop si verificano in altri stati europei. Il problema dello stupro sulle donne è qualcosa di ORRIBILE,quello perpetrato sulle bambine poi è qualcosa di semplicemente DISGUSTOSO. A volte queste violenze (continuate nel tempo)avvengono tra le mura domestiche. Allo stupratore (quando la bambina trova il copraggio di denunciare) vengono inflitti solo pochi anni di detenzione. Quando questo individuo escirà dal carcere rifarà di nuovo questo reato, troverà altre vittime innocenti alle quali rovinerà la vita. Che giustizia è questa? Si trovano tutte le "attenuanti" per l'aguzzino, ma bisogna pensare alla vittima.Molte donne non riescono più ad avere una vita normale perché sono state stuprate da bambine.
Santo cielo! Si fa visitare il mostro da bravi psichiatri e questi asseriscono che lui ha tanti problemi, che non ha avuto affetto da piccolo ecc. E va bene, ammettiamo pure che il "mostro" abbia dei problemi. Bisogna, comunque, che non esca più dal carcere perché se è "malato", se non è in condizioni mentali normali, avrà sempre lo stesso comportamento e non c'è, (non ci può essere) rieducazione e riabilitazione per lui.
Speriamo che questo governo faccia urgentemente qualcosa per questo spinoso problema,me lo auguro di tutto cuore.

Anonimo ha detto...

bel post davvero, francesco. Per i reati penali credo che sia opportuno in Italia(ovviamente con un accurata revisione sia c.p.c e del c.p.),introdurre una giuria qualificata popolare. In questo modo i processi, oltre che ad essere più brevi, terminerebbero,forse, con una sentenza più vicina al concetto di giustizia.

Anonimo ha detto...

"il delinquente alla fine del gioco potrebbe anche avere l’impressione che, in fondo, non ha commesso un atto tanto grave"

La conclusione del pezzo, se possibile, quanto a pregnanza supera perfino lo svolgimento. Il dramma dell'oggi è appunto la tecnolatria etica secondo cui un'azione è positiva/negativa se il diritto positivo non la sanziona/la sanziona - anziché viceversa.
Di legge morale si finisce per non parlare, con uno scadimento nel contenzioso puramente tecnico/formale. Poveri noi.

Articolo bellissimo e a lungo atteso, comunque.

Anonimo ha detto...

Bellissimo articolo. Ho il tuo permesso di farlo girare?

Federico Zuliani ha detto...

@ lupodigubbio:

X noi è sempre un piacere quando i nostri articoli vengono apprezzati. Per cui, penso che all'autore del pezzo non dispiaccia se qualcuno riprende il suo scritto.

@ Fra: complimenti!

Jetset - Libere Risonanze ha detto...

Splendido articolo!

Io ho una soluzione: pena di morte come condanna di base ed eseguita la sentenza, applicazione di tutte le attenuanti specifiche.

pietro ha detto...

Non sono un esperto ma c'è una cosa che non mi convince.
Quando parli della recidiva dici che è solo un aggravante, ma a quel che ricordo ha anche un altro effetto:
in base agli articoli 163 e 168 del codice penale la recidiva non ammette diritto alla sopensione condizionale della pena e revoca eventuali sospensioni precedenti.
Quindi, perlomeno da questo punto di vista le cose non stanno esattamente come le descrivi.

Anonimo ha detto...

Grazie a tutti degli incoraggiamenti... E grazie a Pietro per lo spunto, cercherò di rispondere brevemente.

Purtroppo lo spazio di un post non è sufficiente a definire nel dettaglio tutti gli aspetti toccati, i quali necessiterebbero certamente di alcune precisazioni.

Comunque, hai sollevato una giusta questione. Posso rispondere che l'art 164 (credo ti riferissi ad esso) all'ultimo comma prevede la possibilità di sospendere condizionalmente la pena anche al recidivo, purchè le varie condanne, sommate, non superino i limiti di cui all'art 163.

Ad ogni modo, poi non ho parlato della semilibertà, della semidetenzione, dei domiciliari, della legge Gozzini, e di tutta quella selva di istituti alternativi alla detenzione che contribuiscono ad eliminare del tutto la funzione retributiva della pena e soprattutto l'effetto deterrente di prevenzione generale.

Non volevo mettere troppa carne al fuoco, volevo solo incuriosire i lettori cercando di mostrare come l'ideologia della "rieducazione penale", dominante ancora oggi sebbene molto in crisi, possa portare a tremende aberrazioni indulgenzialiste.

Chiedo scusa se nel fare ciò ho usato una certa approssimazione...

Anonimo ha detto...

Riguardo ai danni causati dal Beccaria (rieducazione in luogo di retribuzione) io, se ti interessa, avevo parlato a proposito del caso Bianzino

Anonimo ha detto...

Tranquilli. Ci pensano i carcerati a punire adeguatamente chi stupra una bambina...

Cervo ha detto...

"sogna, comunque, che non esca più dal carcere perché se è "malato", se non è in condizioni mentali normali, avrà sempre lo stesso comportamento e non c'è, (non ci può essere) rieducazione e riabilitazione per lui."

Non c'è? Non ci può essere? Dove sta scritto?

Cervo ha detto...

"La conclusione del pezzo, se possibile, quanto a pregnanza supera perfino lo svolgimento. Il dramma dell'oggi è appunto la tecnolatria etica secondo cui un'azione è positiva/negativa se il diritto positivo non la sanziona/la sanziona - anziché viceversa.
Di legge morale si finisce per non parlare, con uno scadimento nel contenzioso puramente tecnico/formale. Poveri noi."

Questa frase è condivisibilissima.

Peccato che spesso in Italia ci si trinceri dietro le prescrizioni e ci si faccia le leggi in modo da rientrare "tecnicamente" legalità.

La legge morale dove è finita?

Cervo ha detto...

"Non volevo mettere troppa carne al fuoco, volevo solo incuriosire i lettori cercando di mostrare come l'ideologia della "rieducazione penale", dominante ancora oggi sebbene molto in crisi, possa portare a tremende aberrazioni indulgenzialiste."

A me sembra invece proprio che tu abbia messo troppa carne al fuoco: hai fatto una grigliata mista. Rieducazione ed indulgentismo non hanno nulla a che fare l'una con l'altro. A meno che non li si voglia accoppiare intenzionalmente per demolire una attaccando l'altro.

Perdonami ma mischiare le due cose serve unicamente a fare un minestrone godibile solo da chi ti dà già ragione per un motivo o per l'altro. Come si è visto dai commenti qui sopra.

Per esempio chi ha dato la colpa a Beccaria per i mali della giustizia contemporanea in Italia dovrebbe ricordare che la certezza della pena (il contrario dell'indulgentismo) è un concetto che nasce nei suoi scritti. Quindi è una sciocchezza accusarlo di indulgentismo. Eppure nessuno ha commentato a proposito.

"Chiedo scusa se nel fare ciò ho usato una certa approssimazione..."

Magari un articolo meno approssimativo però risulta più interessante da leggere. Nel senso che così, dopo essere stati incuriositi, si rimane anche delusi.

Ismael ha detto: "Riguardo ai danni causati dal Beccaria (rieducazione in luogo di retribuzione) io, se ti interessa, avevo parlato a proposito del caso Bianzino"

In quell'articolo citi la retribuzione unicamente per fare un altro facile corto circuito nel ragionamento. Dici: "La sanzione deve essere proporzionata all’illecito commesso: sembra una banalità di solare evidenza, tanto che nei sistemi giuridici a vocazione retributiva come quello americano i contenziosi si risolvono tramite il vero e proprio risarcimento in solido del danno."
A parte il fatto che dubito che tutti i contenzioni si risolvano in questa maniera, quello che hai detto mi sembra abbastanza superficiale. Mi spieghi come risarcisci in solido per l'omicidio di una persona? O per uno stupro? Significa che, se uno stupro "costa" €100.000 o 10 milioni di euro e quello che ti pare, io, che ho tanti soldi, stupro un persona che ti è cara, pago e ho scontato il mio debito con te e la Società? Anzi, siccome ho tanti, tanti soldi (guadagnati col sudore della mia fronte, lavorando, si intende) quasi quasi mi è piaciuto e lo rifaccio?
Naturalmente hai scritto "vocazione retributiva" quindi mi aspetto che anche tu concordi che una cosa simile sarebbe uno scempio al concetto di Giustizia. Tuttavia questo è vero anche per i reati e i contenziosi minori. Se ti sfascio la schiena quanto costa? Ti risarcisco di quanto non puoi più produrre lavorando? Il dolore che ti ho fatto, lo risarcisco? I rapporti sessuali che che non hai? Quanto costano? Devo pagare te, il tuo/la tua partner o entrambi? Se demolisco la casa che ti sei comprato con 20 anni di mutui e sacrifici? E se demolisco la casa che la tua famiglia ha costruito in 2 generazioni?

Un codice penale non può essere scritto in modo che l'effetto di deterrenza delle sanzioni sia minore su chi è ricco rispetto a chi è povero.

Mischiare proporzionalità della sanzione e retributività della pena è un altro inutile minestrone.

Queste credo siano considerazioni molto ma molto semplici, elementari e fondamentali. Mi stupisco che prima di voler divulgare il proprio pensiero (liberale, comunista, fascista, conservatore, radicale, anarchico o quel che vi pare) non ci si fermi un attimo ad inglobarle nel proprio sistema di idee.

Si finisce per scrivere delle cose degne di campagne elettorali e puntate di Porta a Porta. Non proprio un'ottima cosa per chi si propone di vincere senza utilizzare "gli stessi mezzi adottati dagli altri partiti".

Scusate per le critiche. Saluti.

Anonimo ha detto...

Le critiche qui sono sempre bene accette. Ci aiutano a crescere, specie se sono bene articolate. Devo però puntualizzare che per "retribuzione" in campo penale si intende la proporzione della sanzione rispetto all'illecito, non (come nel linguaggio comune) un pagamento risarcitorio del reo nei confronti della vittima.
Per il resto, sono d'accordo con te che il sistema sanzionatorio debba attaccare qualcosa di diverso dal denaro, che finisce inevitabilmente per essere un metro diseguale a seconda delle possibilità economiche degli individui coinvolti. Ismael citava i risarcimenti, tipicamente sostanziosi nel common law, come sanzione accessoria rispetto alla detenzione.
Infine, su indulgenzialismo (io lo chiamo così) e ideologia della rieducazione dobbiamo prendere atto che abbiamo idee diverse. Ci sono studi, effettuati in Svezia, che dimostrano che individui sanzionati con pene "semplici" detentive e altri con pene "rieducative" non hanno statisticamente diverse chances di reinserirsi in società.

Cervo ha detto...

Francesco, devo ammettere che la mia ignoranza (effettiva) sul significato tecnico esatto del termine "retributività della pena" è stata nutrita dalla lettura dell'articolo di Ismael che non mi pare di avere frainteso.

La frase "nei sistemi giuridici a vocazione retributiva come quello americano i contenziosi si risolvono tramite il vero e proprio risarcimento in solido del danno" mi sembra che sia proprio inequivocabile. Non si parla di pene accessorie ma di metodo di risoluzione dei contenziosi: ho fatto un danno valutato in X, pago X e la questione è chiusa, risolta.

Il senso tecnico di quel termine sembra essere duplice. Trovo scritto che "La teoria retributiva implica il concetto di personalità, di determinatezza, di proporzionalità e di inderogabilità della pena". Si tratta quindi di un concetto molto largo che include, oltre a quello di "proporzionalità" che tu indicavi, pure quello di "certezza della pena" nel doppio senso di certezza della qualità/quantità della pena (determinatezza) e di sicurezza che essa venga comminata e scontata (inderogabilità) ossia il contrario dell'indulgentismo.

D'altra parta leggo: "finalità retributiva [della pena ossia] il risarcimento alla società del danno compiuto."

Quindi pare essere lecito, dal punto di vista del linguaggio, l'invocazione di Ismael di un sistemo giuridico "a vocazione retributiva" nel quale "i contenziosi si risolvono tramite il vero e proprio risarcimento in solido del danno". Lecito nel linguaggio ma, come ho scritto, dannoso. Addirittura aberrante se portato alle estreme conseguenze. Mi sembra che su quest'ultima cosa tu concordi.

Per quanto riguarda la questione indulgentismo/rieducazione, tu mi dici che "ci sono studi, effettuati in Svezia, che dimostrano che individui sanzionati con pene "semplici" detentive e altri con pene "rieducative" non hanno statisticamente diverse chances di reinserirsi in società".

Io non lo metto in dubbio che esista uno studio statistico che dice questo.

La questione è: QUALI pene rieducative? Erano buone, giuste, appropriate? Di questo non possiamo discutere io e te, perchè io non ho le conoscenze per giudicare e, a quanto capisco, quasi certamente nemmeno tu. Il problema è che se non si chiarisce questo, puoi prendere tutte le statistiche che vuoi per sostenere la tua posizione ma rimangono solo propaganda. A "Porta a Porta" e a "Ballarò" fanno discorsi di questo tipo.

L'altra domanda è: ritieni la (ri)educazione inutile? Bene, allora per coerenza, nel tuo programma politico inserisci anche

1) riconversione dei servizi di salute mentale in manicomi e altri luoghi di detenzione
2) chiusura delle scuole: si distribuiscono gratis i libri di testo alle famiglie e ci si vede agli esami

Se la seconda ti sembra una esagerazione, credo che il punto 1) ti dovrebbe trovare daccordo. E con te sicuramente la tua amica Sara Acireale per la quale la psichiatria e le scienze affini sono inutili. Visto che ci siete, inserite nel programma anche la chiusura dei relativi corsi di studio universitari.

L'ultimo punto è: tu puoi anche chiamare la rieducazione "indulgentismo" ma sono e rimangono due cose diverse.

Devi decidere se "indulgentismo" è inserire un fine rieducativo nella pena (in quale modo lo si inserisce è da vedere, ma tu avresti pronta una tua statistica nordica che dice che "non serve a nulla" tout court) oppure se "indulgentismo" è inserire tanti e tali sconti di pena (ma saranno veri tutti quelli che hai elencato nell'articolo?) per le motivazioni più varie che rischiano di andare a inficiare la certezza della pena stessa, tramutandola in certezza di passarla liscia.

Sono due discorsi diversi, nonostante tu continui a fare finta che siano la stessa cosa. Continuare a farlo serve solamente a svalutare i tuoi discorsi.

Sicuramente troverai persone che non riescono a vedere o non vogliono vedere la differenza. Sono quelle che ti danno o ti darebbero ragione già adesso.

Mischiare i discorsi e le parole (specie da parte persone come te e altre persone che scrivono qui che le parole le conoscono bene) non è onorevole ed è significativo di un atteggiamento che non vuole produrre ragionamenti e approfondimenti ma solo propaganda.

Esattamente lo stesso mezzo al quale ricorrono gli altri partiti.

Più leggo il vostro blog e più mi rendo conto che vorreste trasformare una teoria economica in un partito o in un movimento politico. Io capisco che la vostra formazione e la vostra cultura (e non sto parlando di una "cultura di destra" da distinguersi da una "cultura di sinistra" nè di poca o molta cultura - perchè sono sicuro che di cultura ne avete molta - quanto di cultura in senso ampio) vi porti a fare questo ma penso che, se mai c'è stata un'epoca in cui la Società ha avuto bisogno di un simile modo di intendere e fare politica (a prescindere da quale sia la teoria economica utilizzata), i giorni che viviamo sicuramente necessitano di qualcosa di molto più complesso e articolato.

Anonimo ha detto...

Non siamo di destra. Anzi, molti di noi sono di sinistra. Il Movimento è solo un piccolo luogo ideale nel quale confrontarci per crescere insieme politicamente. L'aggettivo "liberale" a noi riferito va inteso nel senso più ampio e "filosofico", dato che dargli una connotazione politica sarebbe inutile ai nostri fini oltrechè impossibile date le profonde differenze ideologiche degli arancioni. Quella che tu chiami "propaganda" è solo un po' di provocazione per stimolare la discussione. Un po' di retorica non ha mai ucciso nessuno.

Detto questo, io non confondo indulgenzialismo con rieducazione. Dico però che talvolta la rieducazione, soprattutto se intesa in un certo modo, può essere una forma di indulgenzialismo. Questo accade quando si perde di vista il fine del reinserimento in società e, per "pigrizia istituzionale", il sistema si limita a trasformare le pene detentive in pagliacciate.

Io sono a favore della "rieducazione", e la includo nelle funzioni della sanzione, solo che la intendo in modo diverso rispetto alla sinistra (piccola chiosa, io sì sono di destra :-). Per me la rieducazione si ottiene attraverso la certezza della pena, una sanzione proporzionata al fatto delittuoso che aiuti il reo a rendersi conto della gravità del fatto, e il lavoro in carcere (o anche lo studio). In altre parole, la rieducazione sta NELLA pena, e non a fianco di essa o, peggio, in sua sostituzione (come avviene in molti casi oggi).

Massimiliano Biagetti ( aka Massy Biagio ) ha detto...

Peccato che Cervo non abbia un Blog personale, lo avrei letto con molta curiosità, visto quello che scrive infatti lo quoto in pieno. L'articolo in questione nonchè il tema toccato non hanno nessuna empatia nè con la vittima nè con il carnefice. Un articolo pieno di tecnicismi che riporta la giustizia indietro di decenni quando uno veniva condannato "perchè era giusto condannarlo". Ogni caso è un caso a sè ed è già difficile catalogarlo. La vita non è semplice e fare il giudice è uno dei mestieri che solo pochissime ed elette persone dovrebbero fare. Trovare un giudice giusto è il sogno del 100% delle vittime reali e del 50% degli imputati. Qui non si prende in considerazione che molte peronsne nel nostro paese fanno una denuncia per 'guadagnarci' sopra qualcosa, non solo in terini di risarcimenti, infatti sono state proprio le cause vcivili le prime ad ingombrare gli uffici giudiziari, poi engono le altre. Mi chiedo quante persone, o bloggers o ( peggio) giornalisti che scrivono di criminalità abbiano letto i dati del Ministero dell'Interno sugli ultimi 40 anni di criminalità in Italia Quanto siamo cambiati? Se abbiamo idee liberali e liberiste in campo economico perchè non averne in campo giuridico? Io credo che un movimento ( ora la mia critica và alla LINEA POLITICA di questo movimento di cui, un giorno mi farebbe piacere prendere parte) - Se non iniziamo a snellire, deregoamentare, partendo dal civile, in poi allora non caviamo un ragno dal buco. Non capisco cosa c'azzecchi il liberismo economico con una visione populista e (non garantista* Ops: non mi viene il termine...) della vita giuridica. Hai fatto il caso dello stupro di una bambina minorenne. E se ti facessi il caso di un ragazzo appena diciottenne che, dopo aver lasciato la ragazza non ancora quattordicenne per un altra 8 cosa piuttosto comune) magari si rirtrova in galera per violenza sessuale insieme ad altri VERI stupratori perchè la ragazzina l'ha enunciao dicendo che ha avuto raporti con lui? Ora mi risulta che se c'è stata o meno accoro non importa, sempre stupro è considerato, come la mettiamo? . Trovo quest articolo al di fuori di un progetto liberista vero e proprio ed è anche per questo che ho attso tanto prima di 'entrare' in questo movimento, che come dice 'Cervo' prima o poi dovrà diventare partito, se vuole fare le cose sul eserio, altrimenti.... Saluti, Massy

Anonimo ha detto...

Risponderei volentieri, ma non ho capito bene quale sia la tua critica nei confronti del mio articolo. Non mi sembra di aver messo in discussione i princìpi costituzionali di garanzia dell'imputato, che qui non c'entrano nulla.

Ho semplicemente voluto spiegare che le varie riforme settoriali e, spesso, "estemporanee" del codice Rocco che si sono succedute negli anni hanno portato ad alcuni esiti indesiderati ed indesiderabili (almeno secondo la mia opinione) a causa della mancanza di sistematicità con la quale sono state portate avanti.

Come questa idea possa essere sovversiva dello Stato di Diritto in senso liberale mi sfugge del tutto, a meno di non voler considerare "liberale" la risoluzione del caso penale che ho esemplificato nell'articolo.

Anonimo ha detto...

Vorrà dire qualcosa se qualche mese fa sono comparse delle intercettazioni in cui dei tunisini spacciatori di droga definivano l'Italia "il paese dei balocchi"...

Anonimo ha detto...

Davvero è così? Si fa fatica a crederlo. Non pensavo che si fosse giunti a tanto, ma non è affatto che la cosa mi stupisca del tutto, tanto che due anni fa avevo scritto questo sul mio blog:
"...Né c’interessa sapere se si tratti di uno dei quei casi in cui il sempre più intollerante fine rieducativo abbia ormai sic e simpliciter del tutto scacciato l’intento punitivo dal concetto di pena, frutto questo di quel nichilismo caramelloso al quale i bei sentimenti di clemenza e di umanità non bastano più, e di quella forma mentis atta a esorcizzare il senso di colpa e di male, tipica di gente che ammazza tanto facilmente quanto facilmente perdona..."

Anonimo ha detto...

Ottimo post. Mi rimane un dubbio però. Se al tuo stupratore tipo fossero dati i 6 anni previsti pensi cambierebbe qualcosa. Una volta liberato tornerebbe una personcina a modo?
Oppure per prevenire la "recidiva" proponi l'ergastolo per ogni tipo di reato? O che so, la gogna, la castrazione, la tortura o un altro di questi metodi moderni soppiantati dal buonismo dei cattocomunisti.
Sarebbe interessante conoscere l'opinione di un "cattivista"

Anonimo ha detto...

X FRANCESCO
vorremmo sapere chi ha proposto questa Legge.
Vorremmo fosse pubblicato il nome del politico proponente ed il Parlamento che lo ha votatp.
Grazie

Anonimo ha detto...

Brinter


Credo che il fine sia un mondo migliore, con meno rei, vero?

1)Esiste un sistema di giustizia di tipo europeo, globalmente inteso, che riuscirebbe mai a sopportare il rapporto esistente in Italia:

cittadini / quantità di reati commessi

??????

Lascio a voi esperti il divertimento sulla ricerca di tale spaventoso numeretto ed il suo confronto con Paesi vicini.

Siete convinti che tale, diciamo, incidenza pro-capite di reati
derivi dalla fallacità del sistema delle pene?

In Paesi con l'ergastolo o addirittura in quelli in cui sopravvive la tremenda pena di morte succede che essa scende?

Assodato che la pena afflittiva è sempre servita a poco tranne che a soddisfare la giusta sete di giustizia dell'offeso, ivi incluso lo Stato,

è numericamente impensabile oggi la rieducazione dinanzi ad una mole di reati di tal specie?

Che fare?

Ho letto di codici di cultura catto-comunista e di buonismo.

Io non sono cattolico, nè comunista, nè buono nè buonista.

Il mio credo è il razionalismo.

Nè credo che i codici abbiano avuto quella ispirazione di base. Semmai le attenuanti, quelle si.

Che fare?

Come avrebbe detto il buon Falcone, non puoi pensare ad un sistema giustizia efficiente se prima non diffondi una diversa cultura della legge e prima ancora del senso civico.

Ammesso che con una bella riforma li mettiamo tutti dentro...

Pensate davvero che i reati diminuiscano? Ma davvero ?

Quante carceri? O quanti istituti rieducativi volete?

Sopra la mia testa è cresciuto un supermafioso da 416 bis.

Viveva bene.

Poi solo 7 anni tra carcere e rieducazione.

Adesso continua a vivere bene...

L'intero quartiere di una grande e bella città lo considera un bravo ragazzo.

Si è pure laureato in legge in carcere.

Sistema giustizia fallimentare?

No, sistema Italia dominato da radicata incoltura giuridico-civile.

Pe rquesto proporrei una bella tombale attenuante generica generale: Se sei cresciuto in Italia con l'educazione civica che scuola e istituzioni italiane

non ti hanno mai impartito, suggerito, bisbilgiato...

hai diritto ad un bel bonus di 10 anni.

P.S. Non esiste rimedio efficace quando la pandemia cova già dall'infanzia.

Saluti.

Anonimo ha detto...

Gentile Francesco, ho postato il tuo articolo nel mio profilo su facebook. Se dovessero esserci problemi per questo ti prego farmelo sapere che provvedo a eliminarlo a questa mail cadmox@hotmail.com
Grazie
Eloisa

Anonimo ha detto...

X demopazzia: è molto semplice. Le pene non "rieducano" i rei (o almeno, io non ci credo). L'unico motivo per cui sono un sostenitore di pene più severe è che esse speventano il criminale, ed hanno perciò un effetto deterrente. Se una persona portata e delinquere può contare su un sistema penale colabrodo come il nostro, allora non ha più freni. Se invece teme una sanzione severa, ci sono più possibilità che eviti il comportamento criminoso.

Anonimo ha detto...

leggo per caso l'articolo di Francesco,e premetto che non so nientepurtroppo di giurisprudenza,e non posso ripondere come tutti quelli che mi hanno preceduto.Però so che oggi al TG ho sentito di quell'uomo(?)che ha stuprato e malmenato il bambino a Napoli,e che era libero e"giocondo"perchè un giudice lo aveva mandato libero,nonostante avesse fatto violenza alla bambina della sua convivente.Giudici che mandano liberi i pedofili.gli assassini al volante,che danno gli arreti domiciliari ai violentatore e uccisori di ragazze o donne,ecc...E' anche questo colpa di una legge sbagliata o di giudici senza cervello, o peggio in malafede?


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