Nella sua disamina delle “ragioni di Hobbes”, a mio avviso Francesco indulge a uno scetticismo gnoseologico di stampo protestante. In passato ho già avuto modo di argomentare come la dicotomia tra liberali e libertari, cioè tra volontaristi e razionalisti, rispecchi in senso lato lo scisma politico-culturale tra luterani e cattolici. Fu del resto Murray N. Rothbard a rimproverare nientemeno che Friedrich Von Hayek per la sua incapacità di svolgere un’indagine razionale sul diritto naturale: la profonda biforcazione interna del pensiero liberale risale peraltro a molto prima dello “scisma libertario”, e precisamente alla contrapposizione tra gli archetipi rappresentati per l’appunto da Locke e da Hobbes.Sì, perché il teorico del Leviatano, malgrado la storia della filosofia in pillole lo cataloghi semplicisticamente come il fautore dell’assolutismo per antonomasia, fu in realtà il più lucido apologeta ante litteram dello stato moderno (è forse questo il punto che, nel suo intervento, Francesco coglie con maggiore chiarezza, allorché afferma di non riuscire a notare “la differenza” tra l’impianto ideologico hobbesiano e l’assetto costitutivo delle “moderne democrazie occidentali”).Prima di esaminare l’antinomia giusnaturalismo-giuspositivismo sotto il profilo delle sue ricadute storiche e politiche, però, ritengo doveroso opporre qualche modesta controdeduzione alle tesi filosofiche sostenute dall’amico Lorenzetti. La sua applicazione della legge di Hume – inerente la ridondanza del passaggio da elementi fenomenologici (l’Essere) a prescrizioni etiche (il dover essere) – al campo del diritto naturale, infatti, espande indebitamente il terreno di indagine al novero delle leggi di natura. Mentre invece non è l’Essere in quanto tale a interpellare la legge naturale, ma l’Essere in quanto moralmente rilevante, legato cioè all’esigenza umana di indirizzare l’azione secondo giustizia. Se, ad esempio, è banale non considerare affatto l’imperativo darwiniano di eliminazione dell’inetto un imperativo morale, molto meno banale è riempire tale scarto logico di contenuti asseverativi partendo da posizioni relativistiche. Dire, come fa Bobbio, che “ogni ricerca del fondamento assoluto è, a sua volta, infondata” significa implicitamente ammettere solo la sussistenza di fondamenti sufficienti, dipendenti da variabili di tipo culturale e/o contingente – e quindi oggettivamente decostruibili, in quanto “consapevoli” della propria incompletezza. [...] Continua su Ismael Blog...
sabato 10 novembre 2007
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