Come saprete, il premio Nobel 2007 per la pace è stato assegnato all’ex vicepresidente democratico Al Gore e al Comitato Intergovernativo per i Cambiamenti Climatici (IPCC) per il loro impegno nello studio e nella divulgazione del tema del surriscaldamento globale. Al Gore ha anche meritato un Oscar per il suo documentario “Una scomoda verità”, con il quale ha tentato di dimostrare non solo che la scienza ha ricostruito la temperatura media del globo degli ultimi seicentomila anni (sigh!) ma che ha anche previsto con assoluta certezza come tale temperatura si accrescerà in modo terrificante nel prossimo secolo.
Nel complesso, sembra che oggi si sia ormai formato un consenso così generale e radicato, intorno alla teoria del riscaldamento globale, che chiunque la affermi è considerato un eroe e chiunque sia scettico è considerato un reprobo. Ma davvero questa teoria è supportata da prove empiriche certe e da dati ineccepibili? E davvero a tale riguardo c’è unanimità nel mondo scientifico?
Iniziamo col fare una premessa di carattere politico. Tutta la questione è nata dagli studi del citato IPCC, che esiste ormai da parecchi anni ed opera in collaborazione con l’ONU. Tale ente, però, è stato aspramente criticato dal mondo scientifico, che lo ha accusato di essere politicizzato, di non rispettare le procedure di peer-review e di assumere come preconcette delle ipotesi che invece esso dovrebbe dimostrare. Il nome stesso dell’istituto (Intergovernmental Panel on Climate Change) dimostra che ciò che andrebbe indagato (se il surriscaldamento sia o meno una realtà) è in realtà assunto come dogma iniziale. Il professor Guido Visconti, fisico dell’atmosfera, ha osservato che i modelli previsionali dell’IPCC sono in realtà “accordati” per ottenere certi risultati. Inoltre, le periodiche pubblicazioni dei risultati ottenuti omettono sistematicamente di comunicare le fonti, i dati e le procedure statistiche utilizzati, così da rendere impossibile un controllo e un feedback da parte del mondo accademico. A questo si aggiungano i casi di dimissioni di alcuni ricercatori che avevano subito forti pressioni politiche per “aggiustare” i risultati dei loro studi, come il caso di Chris Landsea nel 2005, che portò la politologa Sonja Boehmer a definire il Panel “un misto di credenti auto-selezionati e di esperti scelti ufficialmente, per la maggior parte pagati direttamente dai governi, che non danno, né in realtà sono in grado di dare, un parere onesto”.
Nella sostanza, quindi, l’IPCC va considerato più come un ente politico che come un’autorità scientifica, e questa opinione è supportata dall’evidenza delle sue relazioni con eminenti politici, giornalisti e uomini di spettacolo, tutti preoccupati di farsi belli davanti all’opinione pubblica sostenuti da ricerche pseudo-scientifiche dal sapore apocalittico. Tutti noi abbiamo visto i telegiornali trasmettere le immagini dei ghiacci polari che si sciolgono, mentre una voce fuori campo tratteggiava foschi scenari di terrore per il futuro del nostro pianeta. Ma riflettiamo su un particolare: in queste immagini c’era il sole o era buio? La domanda non è di poco conto, dato che nel periodo di luce ai poli è normale che si sciolga parte dei ghiacci, poiché nel periodo freddo essi si riformano in uguale quantità. Ma ai giornalisti questo non interessa: l’importante è terrorizzare il telespettatore perché non cambi canale.
Tutto ciò premesso, possiamo affrontare nel merito la questione del presunto riscaldamento golbale. L’IPCC ha comunicato che secondo le sue rilevazioni la temperatura media della terra è cresciuta negli ultimi 150 anni di circa 0,4°C, e addebita ciò alle accresciute emissioni di gas serra dovute allo sviluppo economico. La gran parte della comunità scientifica, però, ha smentito questi dati sostenendo invece che nell’ultimo secolo non vi siano stati aumenti. Tale discordanza ci porta a fare una riflessione sui limiti del metodo scientifico e della conoscenza umana. Franco Prodi (fratello di Romano) è un autorevole climatologo e fisico dell’atmosfera presso l’Università di Ferrara, e ha dedicato un articolo dell’ultimo numero della rivista Aspenia a questo tema. Egli afferma che già il dato della “temperatura media della terra” è molto difficile da ottenere, anche oggi che possiamo disseminare il globo di sensori collegati ad un supercomputer, figuriamoci se possiamo ricostruire – come pretende Al Gore, nel suo film – la temperatura media del globo negli ultimi seicentomila anni. Infatti, continua Prodi “...sui modelli per leggere il presente e azzardare previsioni climatiche per il futuro, un po’ di modestia non guasta [...] Al momento, la situazione è tale da non permettere una vera previsione climatica”.
La “previsione climatica” di cui parla F. Prodi si riferisce al controverso grafico “mazza da hockey” utilizzato fino a qualche anno fa dai media per terrorizzare l’opinione pubblica, e oggi occultato per una grave crisi di credibilità che esso aveva causato all’IPCC, suo fautore. Tale grafico mostrava la previsione della variazione della temperatura media del pianeta nei prossimi cento anni, che avrebbe dovuto stare fra 1,1 e 6,4°C. Alla luce di quanto detto, però, possiamo ora domandarci: ma se non siamo in grado di prevedere che tempo farà la prossima settimana, davvero pretendiamo di conoscere la temperatura media del globo fra cent’anni?
Invero, i rapporti del Panel sono sempre stati ben lungi dall’arrivare alle settarie conclusioni pubblicizzate dai media, ma i suoi dirigenti hanno avuto – come ci dice Frederick Seitz, presidente della Rockfeller University – la spiccata propensione a forzare l’aspetto allarmistico modificando le conclusioni degli studiosi al termine della procedura di peer-review. Ad esempio, la frase “Nessuno degli studi sopracitati ha mostrato con assoluta chiarezza che i cambiamenti climatici possono essere attribuiti all’aumento dell’emissione dei gas-serra” è stata sostituita, prima della pubblicazione, con la seguente: “Il numero di prove sembra suggerire un’evidente influenza umana sul clima globale”.
Concludiamo con la constatazione, amara, di Hans Labohm sulle conseguenze della follia allarmistica sfociata nel protocollo di Kyoto: “L’avvento dell’allarmismo climatico, ulteriormente alimentato da affermazioni di eminenti politici e dei media, non ha alcuna base scientifica. Sono state previste diverse conseguenze catastrofiche dei cambiamenti climatici, come inondazioni e situazioni climatiche estreme, tutte senza supporto scientifico. In modo particolare le nazioni europee hanno optato per delle politiche climatiche totalmente irrealizzabili, il cui risultato è soltanto un enorme spreco di risorse scarse”. Cui prodest?
9 commenti:
Non capisco bene, tu vuoi dire che tutti gli Stati della Terra(eccetto Usa)si sono messi d'accordo per arrivare al protocollo di kyoto, non per tutelare l'ambiente, ("perchè tanto non ce n'è bisogno"), ma solo per apparire all'opinione pubblica in un certo modo? Non ci credo. Sensibilizzare l'opinione pubblica sui cambiamenti climatici non mi sembra una aberrazione, anzi. I dati che ogni tanto compaiono qua e là circa l'aumento dei gas serra, o l'aumento della temperatura, o l'aumento delle zone desertiche, sono soggetti a interpretazione, perchè sono pur sempre dati, e come tali necessitano di commenti(che sono soggettivi).
Cosa voglio dire con tutto ciò? parlare dei cambiamenti del clima è arbitrario, non esistendo prova empirica nè a favore nè contro.
Sono d'accordo con te. Ma mi sembra si sia andati oltre la semplice espressione di opinioni. Si è fatto del terrorismo mediatico su qualcosa che non è assolutamente certa, ma che ormai tutti considerano tale. Benvengano le opinioni, ma sperperare risorse economiche basandosi su di esse è cosa grave.
Kyoto, Al Gore, i Verdi...tutti "terroristi"! Leggetevi l'articolo di Antonio Martino sul "LiberoMercato" di ieri...
Scusa l'intromissione... ma vorrei capire una cosa: tu sostieni che non ci sono prove sufficienti per affermare che sia in corso un riscaldamento globale? o proprio escludi che il cambiamento sia in corso?
Mi piacerebbe conoscere la tua fonte di informazioni al riguardo, perchè non penso sia stato facile trovarla...
Mi potresti gentilmente darmi i nominativi degli studiosi che fronteggiano le teorie del IPCC? Così magari soppesiamo il prestigio scientifico dei membri di uno e dell’altro gruppo.
Perchè oltre IPCC (del quale è riconosciuta l'alta validità da parte del mondo scientifico) moltissimi altri enti scientifici danno solidità ai dati ottenuti.
I dati ci sono, e non è così difficile ottenerli: temperatura media dell'aria, temperatura media dell'acqua, concentrazione di anidride carbonica atmosferica, diminuzione della quantità di ghiacciai perenni, (per citare i più semplici) sono dati scientifici inequivocabili...
Non penso che tu o le tue fonti possiate obiettare questo, giusto?
I dati devono essere poi interpretati.
Anch’io ho trovato varie interpretazioni: c’è chi dice che il riscaldamento globale è in atto e punta l’indice contro la concentrazione di anidride carbonica atmosferica (la maggior parte dei pareri) e altri che dicono che il riscaldamento globale sta avvenendo ma non è di causa umana (ma molti dati dicono che nelle innumerevoli ere storiche un riscaldamento così veloce non vi è mai neppur lontanamente stato)
Certo non si hanno (ancora?) sicurezze su questo argomento, ma indubbiamente vi è una disparità enorme tra le prove a favore e quelle contrarie la teoria del riscaldamento globale.
Di sicuro le prove contro non si possono considerare quella sul “il sole scalda e scioglie i ghiacciai polari”, anche perché come penso tu sai, quello che conta è la disparità tra quanti se ne sciolgono e quanti se ne formano, giusto? E qualunque articolo scientifico tu possa consultare di certo mostra la ritirata dei ghiacciai.
Oppure ti consiglio di fare una visita a qualche ghiacciaio delle Alpi per averne conferma di persona.
Si può discutere sulla gravità della situazione e sui tempi di sviluppo delle modificazioni, ma non si possono chiudere gli occhi e dire “è tutta una manovra politica”, mi sembra la via più semplice, più pericolosa e anche un po’ più codarda, se mi permetti.
Quali sarebbero poi le manovre politiche? E’ la potenza dei grandi produttori di pannelli solari che fa una pressione così forte sulla comunità europea e sulla comunità scientifica? Chi ne guadagnerebbe sulla diffusione dell’informazione sul riscaldamento globale?
L’allarmismo non fa bene, ma l’informazione si, altrimenti si corre il rischio di intervenire troppo tardi. Pensaci.
Un esempio di Hiroshima culturale
IL TERRORISMO SUL CLIMA
di Antonio Zichichi
(Presidente World Federation of Scientists)
Nella cultura del nostro tempo è come se la scienza non fosse mai stata scoperta. Un tema di grande attualità è il clima. Imperversa la parte in cui ciò che la scienza ha saputo capire viene totalmente ignorato.
La cultura dominante ha dato su questo tema l’esempio più clamoroso di quello che – mezzo secolo fa – Enrico Fermi defi nì “Hiroshima culturale”. Infatti il grande pubblico è convinto che la scienza, del clima, abbia capito tutto: passato, presente e futuro. E invece la scienza ripete da anni che la strada è ancora molto lunga per conoscere bene cosa accadeva nel passato, quando non c’erano strumenti di misura e quindi si sa poco o niente. Ma c’è ancora un’altra lacuna nei modelli matematici in uso. Per produrre fenomeni di variazioni meteorologiche, l’unica strada è introdurli ad hoc. A questo metodo si dà il nome di forcing. Questo forcing è l’argomento di base per concludere che sono le attività dell’uomo a produrre variazioni meteorologiche. Nel passato la storia ci insegna che sono occorsi fenomeni di forti variazioni che hanno portato a trasformare magnifiche distese di terra verde – come la Groenlandia (Green-Land vuol dire proprio questo) – in distese di ghiaccio. E rigogliose estensioni di vita vegetale in deserto, com’è il Sahara oggi. Solo
quando sarà possibile avere in
arrivare a un tale traguardo. Quello che la scienza ha saputo fare è mettere su basi di rigorosa logica matematica la descrizione di ciò che avviene nei dieci chilometri d’aria che circondano la superfi cie solida e liquida di questo satellite del Sole. Il padre di questa descrizione matematica fu il grande John von Neumann. Questa matematica è fatta da un sistema di equazioni, differenziali non lineari, fortemente accoppiate, la cui unica via d’uscita è una serie di approssimazioni numeriche. In queste approssimazioni è necessario far uso di “parametri” liberi. Von Neumann metteva in guardia i suoi giovani collaboratori sull’uso di questi “parametri liberi” dicendo: «Se mi date quattro parametri liberi vi costruisco un modello matematico che descrive esattamente tutto quello che fa un elefante. Se mi date la libertà di aggiungere un quinto parametro, il modello da me costruito avrà come previsione che l’elefante vola».
I modelli climatologici di “parametri liberi” ne hanno molti più di cinque. Ce ne sono almeno due per ciascun vulcano. E poi quelli necessari per descrivere le innumerevoli proprietà di ciò che determina le proprietà dinamiche dello strato d’aria che circonda questo satellite del Sole con tutte le interazioni tra atmosfera, oceani, venti, correnti marine e gas a effetto-serra. Ci sono anche i parametri liberi per descrivere le particelle di polvere, fuliggine e di altre sostanze che vengono continuamente iniettate nell’atmosfera senza che sia possibile un controllo accurato delle loro caratteristiche, sia in termini di quantità sia in termini di qualità. Queste “polveri” hanno un ruolo importante nella termodinamica dell’atmosfera. Nei modelli in gioco è necessario anche la variazione nel tempo delle particelle iniettate nell’atmosfera, inclusi gli aerosol per i quali sarebbe necessario conoscere bene che cosa accadeva nel passato, quando non c’erano strumenti di misura e quindi si sa poco
o niente. Ma c’è ancora un’altra lacuna nei modelli matematici in uso. Per produrre fenomeni di variazioni meteorologiche, l’unica strada è introdurli ad hoc. A questo metodo si dà il nome di forcing. Questo forcing è l’argomento di base per concludere che sono le attività dell’uomo a produrre variazioni meteorologiche. Nel passato la storia ci insegna che sono occorsi fenomeni di forti variazioni che hanno portato a trasformare magnifiche distese di terra verde
– come la Groenlandia (Green-Land vuol dire proprio questo) – in distese di ghiaccio. E rigogliose estensioni di vita vegetale in deserto, com’è il Sahara oggi. Solo
quando sarà possibile avere in mano una struttura matematica in grado di descrivere il passato della superficie solida e liquida della Terra sarà possibile affermare ciò che invece oggi pretendono i 2.500 scienziati dell’IPCC (Intergovernmental Panel for Climatic Changes). Motivo: i modelli matematici sono lungi dall’essere soddisfacenti.
Il grande pubblico vuole sapere se è vero che le attività dell’uomo stanno portando a uno sconvolgimento delle caratteristiche climatiche di questo satellite del Sole. Per venire a capo di questo problema è stato istituito dall’Onu un Comitato permanente composto da oltre duemila scienziati di tutte le nazioni, l’IPCC appunto, che ha lavorato per diversi anni portando l’opinione pubblica mondiale a credere che la scienza – come detto prima – ha capito tutto sul clima. Se fosse vero, il destino climatologico del nostro pianeta dovrebbe essere privo di incertezze e sotto il rigoroso controllo della scienza. Non è così.
Quando Von Neumann, mezzo secolo fa, iniziò questa grande avventura, i modelli matematici che descrivevano il clima e gli eventi meteorologici erano in due dimensioni. Fu il più brillante collaboratore di Von Neumann, l’allora giovanissimo Tsung Dao Lee (pupillo di Fermi e Premio Nobel per la Fisica nel 1957) a introdurre la “terza dimensione” nella matematica climatologica. Senza questa “terza dimensione” non potrebbero esistere le “turbolenze”, proprietà fondamentale di tutti i modelli.
Il padre delle “turbolenze” ha preso parte ai Seminari di Erice dedicati ai modelli matematici in uso nell’IPCC e li ha giudicati lungi dall’essere soddisfacenti. Stiamo parlando di modelli matematici le cui conseguenze si valutano in miliardi di dollari e coinvolgono la responsabilità di tutti i governi del mondo.
È necessario riportare nel cuore dei laboratori scientifi ci queste tematiche, togliendole dalle mani di coloro che ne hanno fatto strumento indispensabile per soddisfare ambizioni che nulla hanno a che fare con la verità scientifi ca. Il grande pubblico vuole sapere quali sono le conclusioni che il rigore scientifico può permettere di derivare dall’analisi delle misure fatte. Ecco le risposte.
Esistono due scuole di pensiero. Una fa capo a Richard Lindzen del prestigioso MIT (Massachussetts Institute of Technology), che critica i modelli usati dagli scienziati dell’IPCC. L’altra fa capo a Ants Leetmaa del Geophysical Fluid Dynamics Laboratory di Princeton, massimo esponente scientifi co dell’IPCC.
Un confronto rigorosamente basato su matematica e scienza ha portato i rappresentanti delle due scuole di pensiero a due conclusioni condivise. La prima dice che bisogna lavorare ancora molto e con maggiore rigore per migliorare i modelli matematici fi nora usati. E infatti sulla base di quanto fatto fino ad oggi non è possibile escludere che i fenomeni osservati siano dovuti a cause naturali. Può darsi che l’uomo c’entri poco o niente.
La seconda dice che è necessario migliorare non solo la matematica, ma anche gli strumenti di misura e la loro sensibilità. Un modello matematico non potrà mai essere più preciso dei dati usati per metterlo in grado di descrivere l’evoluzione atmosferica. Ecco perché la Nasa ha lanciato nel 2005 due satelliti, Cloud-Sat e Calipso. Questi satelliti permetteranno di studiare le nuvole, dando un contributo di notevole valore per migliorare i modelli meteorologici. È la prova che le critiche venute fuori nei Seminari di Erice erano e sono di estremo valore.
Infatti con le misure di Cloud-Sat e Calipso, i costruttori di modelli matematici vedranno se le loro descrizioni delle strutture nuvolose sono nelle zone previste e all’altezza giusta. Questi due satelliti permetteranno di ripetere più volte le misure attraverso gli strati nuvolosi in modo da fornire le risposte necessarie per costruiremodelli matematici più realistici. È come se l’uomo fosse fi nalmente riuscito a mettere il naso tra le nuvole e a studiarne con cura i dettagli. Sono le proprietà caratteristiche delle nuvole le vere responsabili delle numerose discrepanze che vengono fuori quando si mettono a confronto le previsioni dei modelli matematici con i dati sperimentali.
È lo spirito scientifico che anima i Seminari di Erice ad avere portato tanta luce sullo stato di salute della Terra. Per la cui cura servono a poco gli allarmismi e gli annunci di catastrofi imminenti, come quella che trent’anni fa prevedeva – entro la fine del secolo scorso – l’estinzione della vita marina nel Mediterraneo.
Tutto ciò di cui abbiamo discusso finora è di natura meteorologica, il che vuol dire di cosa accade nello spessore d’aria che ci sovrasta, in tempi brevi: giorni, settimane, mesi e, forse, qualche anno.
In effetti John von Neumann scoprì – e questo accadeva mezzo secolo fa – che più si andava avanti nel tempo, peggio si mettevano le cose con le previsioni. Il limite dice oggi che al di là delle due settimane non è possibile fare previsioni che abbiano credibilità scientifi ca.
Come la mettiamo con il clima? Qui nasce la distinzione netta tra meteorologia e climatologia. Variazioni meteorologiche vuol dire tempi brevi. Variazioni climatologiche implicano invece tempi lunghi. Per brevi, abbiamo visto che ci sono in gioco le settimane. Per lunghi invece entrano in gioco non le decine di anni, ma i secoli.
La meteorologia è dominata dal motore meteorologico in cui l’effetto delle attività umane è ai livelli di non oltre il 10%. Il resto dipende dai fenomeni naturali che vanno dall’energia che ci invia il Sole a ciò che accade nelle viscere della Terra, con vulcani che iniettano nell’atmosfera enormi quantità di materiali e con le fessure della crosta terrestre da cui escono enormi quantità di lava che genera forti perturbazioni nella dinamica oceanica: lo strato liquido della
superficie terrestre. È questo il motivo per cui i Paesi scandinavi sono passati da un clima fortemente rigido a quello moderato d’oggi, mentre la Groenlandia – come detto prima – da “terra verde” è diventata l’attuale distesa di ghiaccio. Fin qui si tratta di effetti in cui domina il motore meteorologico che ha nel Sole, nelle caratteristiche strutturali della crosta terrestre e della parte interna della Terra, lava e nucleo di ferro infuocato, le sue sorgenti.
Ci sono però fenomeni che non possono essere spiegati da ciò che fanno il Sole e la Terra. C’è bisogno di qualcosa che abbia tempi molto lunghi: milioni di anni. Entra così in gioco la climatologia cosmica. Essa dipende da dove si trova la Terra rispetto ai “bracci” della Galassia. I “bracci” sono zone in cui l’intensità dei raggi cosmici può arrivare a essere dieci volte più alta delle zone esterne ai “bracci”.
I raggi cosmici consistono in massima parte di quelle particelle che sono la cenere elettricamente carica e pesante del Big Bang, dette “protoni”. Metà del peso del nostro corpo è dovuta a questa “cenere”. Noi stessi, e qualsiasi altra cosa del mondo vicino e lontano, non possiamo fare a meno dei protoni. Quando un protone entra nell’atmosfera esso agisce da nucleo di condensazione del vapore acqueo dando vita alle formazioni nuvolose. Se osservassimo la Terra da un satellite, ci accorgeremmo che la luce del Sole viene riflessa dalle nuvole. Luce vuol dire energia e calore. Se invece di penetrare nell’aria questa energia e questo calore vengono riflessi nello spazio cosmico, la temperatura dell’atmosfera diminuisce. Più protoni incidono sull’atmosfera, più nuvole si formano, più bassa sarà la temperatura qui sulla Terra.
Entrare in un “braccio” della Galassia vuol dire esporre la Terra a un flusso di raggi cosmici intenso. Questo genera un periodo glaciale. Nelle zone dello spazio galattico fuori dai “bracci” il fl usso di raggi cosmici diminuisce e nella Terra arrivano periodi con clima torrido.
Quando la Terra si trova nelle zone di massimi flussi di raggi cosmici, le calotte polari ingigantiscono estendendosi fi no a latitudini molto basse. Oslo e San Pietroburgo erano parte della calotta polare Nord, 140 milioni di anni fa. I ghiacciai del Polo Nord arrivavano a toccare Suez in Egitto, Lhasa nel Tibet e Houston in Usa, nel corso del periodo glaciale che accadde intorno a 280 milioni di anni fa. Andando intorno a 420 milioni di anni fa il periodo glaciale si realizzò con l’estensione delle calotte polari fino a 50° di latitudine: nel-l’emisfero Nord questo vuol dire che Praga e Vancouver erano parte della calotta polare. Queste glaciazioni corrispondono a periodi in cui la Terra era esposta a intensi flussi di raggi cosmici.
Nell’ultimo mezzo miliardo di anni la Terra ha perso per ben quattro volte le due calotte polari: niente ghiacci al Polo Nord e niente al Polo Sud. E per altre quattro volte le ha rifatte. L’uomo non c’era. Esistevano invece i “raggi” detti cosmici, di cui l’uomo non conosceva l’esistenza fi no all’alba del secolo scorso.
L’ultima glaciazione cosmica è iniziata 50 milioni di anni fa con il nostro ingresso in un braccio della spirale. Il flusso di raggi cosmici ha toccato il massimo valore circa 30 milioni di anni fa. Adesso siamo in uscita da un “braccio” e l’evoluzione climatologica di origine cosmica deve andare – nei milioni di anni a venire – verso il caldo.
Gohan rulz!
Se vuoi indegare le mie fonti di prima mano leggi i Papers dell'Istituto Bruno Leoni che sono si facile e immediata consultazione. Ti consiglio anche l'ultimo numero della rivista Aspenia, appena uscito in edicola, che dedica all'argomento i 2/3 della pagine. Io ho la fortuna di avere anche uno zio fisico dell'atmosfera e metereologo (Diego Rosa), ma non credo di poterti dare il suo numero :-P
Apprezzo comunque la tua moderazione, e ti concedo un punto: forse, nel modo, sono stato estremista. Ma il mio obiettivo era di scuotere il lettore portandolo a farsi un'opinione consapevolmente critica, e il modo migliore è quello di esagerare un po'... Sai, le voci di minoranza sono sempre un po' incazzate.
Gohan riporta:
... Nel passato la storia ci insegna che sono occorsi fenomeni di forti variazioni che hanno portato a trasformare magnifiche distese di terra verde – come la Groenlandia (Green-Land vuol dire proprio questo) – in distese di ghiaccio ...
mi dispiace contraddire la "dotta citazione" ma è stato più volte confermato che l'origine del nome Greenland è dovuto ad un "falso storico" ad opera di un esiliato vichingo (se non sbaglio Erik Il Rosso).
Francesco Lorenzetti dice:
... Se vuoi indegare le mie fonti di prima mano leggi i Papers dell'Istituto Bruno Leoni che sono si facile e immediata consultazione. Ti consiglio anche l'ultimo numero della rivista Aspenia ...
Personalmente mi sembra un po' poco contrastare le affermazioni del IPPC che derivano non da Suoi studi, ma dall'analisi di centinai di lavori di scienziati di ogni parte del mondo, con quanto pubblica una rivista e un istituto,anche perchè se come dici tu tutto l'IPPC (che è un istituto internazionale) è "politicizzato e di parte" chi mi garantisce che una rivista e un istituto "qualsiasi" non lo siano?
Well written article.
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