La disfatta prodiana al Senato sta a significare ben di più che l’ormai improcrastinabile atto di sfiducia verso un’esperienza di governo fallimentare sotto tutti i punti di vista. Dal tracollo “parlamentarizzato” dell’Unione emerge infatti la debolezza congenita della cifra politica incarnata da Romano Prodi, e per volontà – apparentemente cocciuta e autolesionista – del suo stesso ideatore.
Dico “apparentemente” perché, dimostratesi infondate le illazioni su presunte campagne acquisti di senatori indecisi a Palazzo Madama, l’ostinato arroccamento dell’ex presidente del Consiglio segna in realtà l’avvio di una precisa strategia politico-culturale. Così gestita, questa crisi di governo ha conseguenze di medio-lungo termine dirompenti, specie se confrontata col precedente del 1998. Allora l’ulivismo – poi divenuto “unionismo”, sempre indicando il ruolo moralmente ed elettoralmente decisivo che il cattolicesimo democratico, seguace di don Giuseppe Dossetti, ha rivendicato in seno alla sinistra italiana nell’ultima quindicina d’anni – sopravvisse alla caduta del suo uomo simbolo. Oggi la situazione è profondamente diversa, in quanto l’impasse di questi giorni origina al centro e non alla sinistra dello schieramento antiberlusconiano. Enfatizzando al massimo la connotazione ideologica (moderata, garantista, neodemocristiana) del dissenso pervenutogli, Romano Prodi lo sta facendo passare agli annali come una pesantissima ipoteca sui destini del nascente Partito Democratico a guida veltroniana.
La rottura tra morotei (nella fattispecie mastellati, ma non solo) e postcomunisti mette a nudo il crescente disagio con cui la sinistra cattolica vive dentro e fuori il Pd. Che la costituente del nuovo soggetto politico avesse ottime probabilità di trasformarsi in un’opa diessina sulla Margherita e, per estensione, su tutto il centrosinistra era più di un sospetto, ma la mossa di Prodi vuole renderlo un dato di fatto negli esiti. Alimentando ed esibendo in diretta televisiva i malumori del cattoprogressismo tra minacce giudiziarie e frustrate ambizioni da mosca cocchiera di rinati compromessi storici, il boiardo felsineo ha saputo lasciare in eredità a Walter Veltroni una leadership esposta al coagularsi di una influente “cosa bianca” alla sua destra. Uno stratagemma che rischia di obbligare il sindaco di Roma a scegliere tra due mali: rinsaldare l’asse con la sinistra antagonista e fondare su di esso la sua forza contrattuale rispetto al nuovo centro (scordandosi però ogni proposito di rupture), oppure valorizzare un sostegno cattolico cospicuo ma indipendente dal suo controllo diretto (rassegnandosi allo schema consociativo Marini-D’Alema, quindi addio rupture comunque). L’indebolimento di Veltroni ne pregiudicherebbe pure il dialogo con Berlusconi in funzione maggioritaria e/o tendenzialmente bipartitica, sempre che il Cav. non punti più o meno velatamente al referendum Guzzetta. Soluzione molto meno astuta di quanto si pensi: senza adeguate modifiche ai regolamenti parlamentari, la nuova legge elettorale non scalfirebbe affatto l’esecrabile potere di ricatto dei “cespugli” (che si formerebbero dopo le elezioni anziché prima).
L’uomo che seppe fottere due volte Silvio Berlusconi egemonizzando (precariamente) il nemico comunista nelle more del maggioritario affonda impiccando l’alleato democratico al proporzionale? Chi rimarrà al timone della sinistra dovrà sudare sette camicie, per dimostrarsi all’altezza di cotanto animale politico. Onore delle armi a questo valente avversario.
6 commenti:
Siete riusciti a postarlo, alla fine.
Dev'essere stato un parto, secondo il mio feed reader :D
Non sai quanto :-) Il problema è che stiamo ristrutturando il sito per inserire la funzione "continua a leggere" che mostra inizialmente solo l'inizio dell'articolo. Credo di avercela fatta, ma siccome blogger è tutto preimpostato ho dovuto incasinare i codici...
Sai, ci ho pensato: non mi sembra così importante, in realtà, la modifica dei regolamenti parlamentari. Se si vuole formare un gruppetto di dissidenti serve a poco impedire loro di "darsi un nome" come gruppo parlamentare nuovo. Credo che se si andasse al referendum sarebbe un'ottima cosa anche con i regolamenti attuali, perchè il pericolo di scissioni sarebbe scarso. Una volta creati due grandi partiti, gli onorevoli difficilmente vorranno restarne fuori e fare i "dissidenti" sapendo che le elezioni seguenti sarebbero "puniti".
Però, siccome siamo in Italia, meglio piazzarci certe "valvole di sicurezza" come appunto la modifica dei regolamenti parlamentari...
Sì, anch'io volevo dire che quelle modifiche regolamentari non sono una panacea, ma solo un viatico nella giusta direzione.
Da come stanno andando le cose, comunque, mi sembra che la discussione passi in cavalleria: qui ormai rimane da stabilire quale proporzionale verrà adottato, non se. A meno che Silvio non rovesci il tavolo, ma non so se ne abbia ancora la forza e la voglia.
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