martedì 19 maggio 2009

CONTRO LE TASSE di Oscar Giannino

di Ismael
“Puoi avere un Signore, puoi avere
un re, ma l’uomo di cui aver paura
è l’esattore delle imposte”
Charles Adams

Con questo breve ma intenso pamphlet, il direttore di Libero Mercato redige la summa di oltre un decennio di attività pubblicistica a sostegno dell’emancipazione fiscale e della libertà d’intrapresa. Già in fase introduttiva, l’autore provvede a sintetizzare l’assioma fondante del liberalismo «classico», o liberalesimo, da cui discende il nucleo teorico essenziale dell’individualismo metodologico: “Chi presenta i quaranta milioni di denunce dei redditi deve essere in condizione – se lo vuole – di reimpadronirsi dei fondamenti di una sana nozione del limite invalicabile di ciò che lo Stato può chiedere all’individuo, alla persona, alla famiglia e all’impresa: si tratta di cardini che [...] pre-esistono allo Stato come ad ogni potere pubblico, figlio evolutivo dei diversi modelli di ordinamento giuridico radicatisi nel mondo”. Non si scappa, dunque: la titolarità individuale del diritto alla libertà e alla proprietà privata – che si lega con quello alla vita in un trinomio inscindibile – deve precedere la costituzione dell’autorità, per poter aspirare a farsi fulcro di sistemi politici coerentemente basati sull’autodeterminazione del singolo. Viceversa, se si stabilisce che la sorgente del diritto è l’officina normativa dello Stato, sarà quest’ultimo a stabilire quali richieste l’individuo possa legittimamente avanzare dinnanzi al potere sovrano.

Munito di simili premesse teoriche, Giannino parte lancia in resta contro lo statalismo in generale e il prodismo in particolare. Nel primo capitolo, per esempio, si sottolinea che “Decisi tagli alle tasse non solo fanno crescere nel breve chi li pratica concentrati nel tempo [...], ma nel medio-lungo periodo ampliano anche la platea fiscale e fanno emergere imponibile nascosto”, che “le alte tasse che gravano su noi italiani ed europei serv[o]no solo a far lavorare di meno la gente, con effetti di riduzione del reddito disponibile maggiormente gravi proprio per chi ha le qualifiche più basse” e che “con aliquote più basse i ricchi pagano di più e i poveri meno”. Tesi supportate da un’attenta ricognizione storica delle entrate in Paesi come gli USA della sfida reaganiana e l’Irlanda anni ’90, ma anche dalle ricerche del premio Nobel Edward C. Prescott. E sicuramente invise ai dimissionari Visco e Padoa-Schioppa i quali, innalzando il floscio stendardo della lotta all’evasione, hanno dichiarato una guerra neokeynesiana a coloro che dispongono di redditi diversi da quelli lavorativi. Rischiando di provocare un dissesto finanziario con il ventilato rialzo al 20% della cedolare secca sulle famigerate “rendite finanziarie”, che con le perdite di Borsa registrate di recente avrebbe potuto aggravare le imposte negative da applicare alle minusvalenze. Ma anche finendo per esercitare una deterrenza inintenzionale sui doppi (o magari tripli) lavori fisco-esenti o fisco-mascherati svolti da quei lavoratori dipendenti che, da sempre, costituiscono il blocco sociale di riferimento della sinistra. Nonché riscuotendo maggiori imposte accertate per un totale di 13,115 miliardi di Euro nel 2006 contro i 13,897 dell’anno precedente, interamente gestito dal vituperato Giulio Tremonti. Questi “era evidentemente più efficiente, se con meno controlli – che costano al contribuente, ricordiamocelo bene – accertava maggior evasione”, scrive giustamente Giannino.

I classici argomenti della pubblicistica liberista, com’è noto, prestano il fianco a misinterpretazioni utilitaristiche di vario genere, le più comuni delle quali sono ben rappresentate dei contorni ideologici del cosiddetto giavazzismo. Edotti della mirabolante efficienza economica garantita dal libero mercato, in altre parole, si può essere portati a ritenere che il liberismo sia giusto perché funziona. Cadendo nel tranello retorico che è la cifra universale del consequenzialismo, laddove passi inosservata la discrezionalità implicita in quel “funziona”. Guai a dimenticare che una determinata azione (politica) “funziona” nella misura in cui giova agli scopi (sociali) di chi la compie, illudendosi magari di poter trovare (nel mercato) una macchina decisionale eticamente neutra. Oscar Giannino ha ben presente la possibilità di declinare il liberismo in senso “offertista” oppure “redistributivo”, che rispecchia due diversi utilizzi del medesimo strumento, ma pecca di superficialità allorché ritiene di individuare nell’«affamare la bestia» e nella flat tax due facili panacee per l’equanime gestione di riforme antistataliste. Affermare l’esistenza di una correlazione diretta tra l’abbattimento delle imposte e la diminuzione della spesa pubblica espone a madornali eterogenesi dei fini, se nel contempo si magnifica l’incremento di gettito conseguibile tramite il taglio delle aliquote. Nel medio-lungo termine – e a maggior ragione se nel frattempo il gioco dell’alternanza politica ha messo in sella il demagogo di turno – la sospirata moderazione tributaria può generare le risorse per nuovi assistenzialismi (Christina e David Romer analizzano diffusamente la questione qui). Per quanto riguarda la tassa piatta, poi, essa mette nelle mani del fisco un’arma a doppio taglio: dopo l’emersione pressoché integrale della platea contribuente sotto un regime tributario amichevole, infatti, nulla vieta di passare repentinamente a un’eventuale “fase due” tosando il gregge pagante ad aliquota tanto unificata quanto esosa. Inoltre risultati simili a quelli della flat tax si possono ottenere anche “solo” attraverso misure di stampo thatcheriano (vedi qui).

In definitiva, a tratti l’impostazione generale di Contro le tasse dà l’impressione che Giannino, nell’ansia di accreditarsi come riformista a tutto tondo e di sottolineare a più riprese che tagliare le tasse “non è di destra”, voglia far passare un liberismo purchessia, tecnocratico e asettico. Come se dietro le tanto celebrate avventure riformatrici di Reagan e Thatcher non vi fosse stata una precisa concezione antropologica e filosofica (l’individuo delimita lo Stato per diritto naturale e non il contrario), tale per cui il liberismo si dimostrasse “funzionante” in quanto “giusto” anziché l’opposto. L’inversione dell’antifona dà luogo a sofisticati socialismi di mercato o a bersanizzazioni, ossia alle molteplici filiazioni del modello “giacobino” di individualismo solipsista, con cui lo Stato perseguita tutto quanto si frappone “fra la propria pretesa di esercitare potere assoluto e il cittadino nudo e indifeso, il più possibile privo di reti di solidarietà e sussidiarietà” e del quale Giannino ha orrore.

Ad ogni modo non sarà certo il perfettismo filosofico a farmi sottovalutare l’importanza divulgativa di questo libro; specie in un Paese come il nostro, nel quale l’articolo 23 della Carta Costituzionale e lo Statuto dei diritti del contribuente sono quotidianamente violati dalla sistematica adozione di norme fiscali per decreto legge. Primum vivere!

15 commenti:

Anonimo ha detto...

Ti sei servito del libro di Giannino per stendere un ordinato riepilogo (anche per te stesso)dell'Ismael-pensiero in materia filosofico-economica (i due aspetti non possono essere scissi, specie quando si vola alto come dalle nostre parti: nel mio caso, ovviamente, per necessità, viste le competenze naso-spanno-metriche):
hai fatto bene, perché sennò le recensioni mancano di tensione intellettuale ("tensione intellettuale"? Che cacchio vorrà dire? Ormai l'ho scritta e amen).
Che tipo Oscar Giannino! Che sia uscito dal grembo materno così, con barbetta e pochi capelli? Secondo me - non credo di sbagliare - quando nel 2150, dopo essere stato beatificato - riesumeranno il suo corpo lo ritroveranno perfettamente intatto: pelata, barbetta fin de siècle da artista debosciato, occhialetti e completo a righine da ambioziosetto impiegato della City. Ed è pure simpatico!

Anonimo ha detto...

(umorismo cattolico)

Anonimo ha detto...

Libro stupendo! Anche se può sembrare ostico come argomento e come svolgimento (ci sono un bel po' di dati statistici) la buona cosa è che tende a svolgere il ragionamento in più punti e a non lasciare nulla di implicito.
In più si legge abbastanza velocemente ed è ben concreto.
Saluti

Anonimo ha detto...

Zamax:

E' appunto per sottolineare che quello economico è a tutti gli effetti un tema etico, che ho ripreso alcune delle mie fisse personali.
Sarebbe illusorio pensare di poter abdicare alla funzione determinante della filosofia politica grazie a soluzioni tecnocratiche buone per tutte le stagioni e tutti i palati ideologici.
Lo stile di Giannino è inconfondibile e credo che non sia per niente affettato: io l'ho visto e sentito anche in un'intimissima riunione per "iniziati", dove si è comportato esattamente come fa in televisione. Nessuna posa studiata, quindi, solo un atteggiamento e un abbigliamento un po' originali.
Diceva che "il" problema italiano è il mercato bancario: non so se ci hai fatto caso, ma a quaranta giorni dalle elezioni ancora nessuno ne parla...

alepuzio:

L'aspetto specificamente economico del libro è in effetti inappuntabile. Io faccio qualche pulce al corredo ideologico dello svolgimento, lasciato un po' in sospeso.

Anonimo ha detto...

INFLAZIONE E POTERE

Il potere viene esercitato dal dominante sul dominato e consiste nella possibilità per il dominante di imporre al dominato prestazioni fisiche e/o prestazioni patrimoniali. Le prestazioni fisiche possono andare dalla mera schiavizzazione alle antiche corvé medioevali, dal servizio militare al lavoro dipendente sottopagato di oggi. Le prestazioni patrimoniali tipiche sono la tassazione, il pizzo, l'inflazione. Entrambe le tipologie di imposizione costringono il dominato a destinare parte delle risorse della sua vita, soprattutto tempo ed energie, a vantaggio di un estraneo. Per detenere il potere il dominante deve ideare e porre in essere forme di controllo sul dominato, e queste forme di controllo possono concretizzarsi ed essere organizzate in apparati, anche, ma non solo, statuali.
L'inflazione è il più pesante e il più subdolo tributo che le famiglie dominanti possono imporre ai cittadini. Durante l'era monarchica vi è una moneta - merce, con un valore intrinseco dato dalla preziosità del metallo di cui è composta, per lo più oro e argento, e quindi largamente sottratta al controllo governativo: in tale condizione, il livello dei prezzi viene generalmente calando e il potere d'acquisto aumentando, salvo che nei periodi di guerra o di scoperta di nuovi giacimenti dei detti metalli. La ricchezza mobiliare dei cittadini, il valore dei loro risparmi, vengono quindi tutelati e preservati. Dopo la prima guerra mondiale e fino ai giorni nostri, in era di repubbliche formalmente democratiche, con l'imposizione del corso forzoso della moneta cartacea, stampabile praticamente a costo zero e priva di valore intrinseco, e col concomitante progressivo abbandono del gold standard, cioè della convertibilità in oro della cartamoneta, gli indici dei prezzi moltiplicano paurosamente i loro valori, bruciando i risparmi della gente a tutto vantaggio degli stati e delle famiglie di dominanti che traggono la loro ricchezza dall’uso strumentale, a loro favore, dello stato e della spesa pubblica. Di fatto, l’inflazione è stata negli scorsi decenni e continua ad essere ancor più oggi lo strumento di una gigantesca depredazione dei patrimoni di chi non è al potere.
L'inflazione non è solo uno dei principali indici e strumenti di sfruttamento; essa è anche strumento di blocco della mobilità verticale tra le classi e di eliminazione di potenziali e competitivi concorrenti. Sotto il profilo economico, sia il diritto positivo, con il prescrivere contro la natura del mercato la burocratizzazione del mercato medesimo e la scomparsa della libera concorrenza, sia la tassazione, ovvero l'assoggettamento al tributo, sia infine il controllo sull'emissione della moneta e la conseguente voluta inflazione, permettono ai dominanti di stroncare sul nascere l'accumulazione di ricchezze da parte di famiglie concorrenti. Viene così impedita la costruzione di patrimoni a quelle élites che, in assenza di tali vessazioni, sarebbero emerse naturalmente per i loro meriti e le loro capacità, probabilmente ben maggiori di quelli dei dominanti stessi.
Occorre quindi finalmente svelare e denunciare il formalismo dell’economia keynesiana, l’economia del clientelare e parassitario tassa e spendi, della socializzazione dei costi del consenso, l’economia di carta dei contabili, degli esattori, dei ragionieri di regime. Il keynesianesimo è la trasposizione nel campo delle scienze economiche dell’orientamento al presente che caratterizza le tirannie oligarchiche travestite da democrazie formali delegate.
Non esagero nell’affermare che, dopo il comunismo, il keynesianesimo è stata la più grande sventura dell’umanità nel secolo scorso. Mi si potrà opporre che il nazismo ha sterminato milioni di innocenti. Con piena convinzione rispondo che il keynesianesimo e le sue politiche di welfare hanno tolto la voglia e la gioia di vivere, di mettere su famiglia, di fare figli, di fondare un’impresa familiare e una dinastia a miliardi di esseri umani, riducendoli a schiavi consumatori.
Dopo Keynes la scienza economica è divenuta una scienza formale, mistificante, inducente all’errore, asservita alle dinastie esistenti e al mantenimento di queste ultime al potere, alla conservazione dello status quo. L’architettura keynesiana sia della scienza economica sia dei sistemi economici è stata ufficializzata, accademizzata, assurta al rango di principio scientifico, e adottata perfino dai suoi detrattori, venendo così a costituire una sorta di trappola mentale, di blindatura del pensiero ossequiente. Eppure nulla è più contrario alla realtà della fondamentale equazione keynesiana ricchezza uguale reddito. Ma l’economia vera, sostanziale, è una scienza riservata alla nobilitas naturalis di cui parla Hoppe, a quegli individui e a quelle famiglie che ogni giorno combattono liberamente sul mercato. Proprietà privata e libero mercato sono ragioni di vita che trascendono le possibilità e le stesse esistenze di esattori, contabili e ragionieri, più o meno prezzolati, certo improduttivi.*

Avv. Filippo Matteucci


* Chi volesse leggere l’intero saggio “Proprietà privata e proprietà pubblica dello stato in Hans-Hermann Hoppe” lo trova pubblicato qui:
http://www.ladestranews.it/cultura/propriet-privata-e-propriet-pubblica-dello-stato-in-hans-hermann-hoppe.html

Anonimo ha detto...

Io direi che l'insistenza di Giannino nel ribadire che il taglio delle tasse "non è di destra" sia dovuta ad un pizzico di sana malizia propagandistica più che ad un cedimento nei confronti del 'giavazzismo'.
E secondo me è giusto così, perchè i lettori di centrodestra potrebbero dire a Giannino: "doctum doces". Il vero problema è convincere la sinistra...

Anonimo ha detto...

Scusa ma Giannino sottolinea spesso che i tagli delle tasse sono strettamente correlate alla libertà del singolo, non all'ottimo assoluto economico..

Anonimo ha detto...

Certo, ma poi tralascia di sviluppare estesamente quello spunto. Anche perché, in caso contrario, il libello avrebbe decisamente esorbitato le 150 pagine e sarebbe uscito dal seminato. Infatti non sono stato molto severo nei riguardi di questa carenza di trattazione, mi pare.

Banca del Risparmio ha detto...

Grazie per la segnalazione e complimenti per il bel articolo.

Personalmente ho una visione/preparazione più economica che filosofica però apprezzo il tuo post.

D'accordissimo sul tuo pensiero finale, di libri del genere in italia ce ne sono pochi

Illuminista ha detto...

Più ke commentare vorrei far notare ke un sistema con mole meno tasse, più intelligente di quello attuale e ke consentirebbe una certa e meritocratica redistribuzione, esiste : si chiama EUNOMIA . Il funzionamento è lo stesso del 5permille e dell'8permille, solo ke si basa sul 100% dei contributi ke il contribuente deve destinare all'erario, scegliendo voce per voce, egli stesso i settori\ capitolati. Così si può far a meno della politica, ke non potrà mai esser realmente rappresentativa, bensì è molto costosa e snatura le funzioni dello Stato, impedendo ke si manipoli il mercato. Sul blog del partito illuminista unitario, ci sono spegati meglio i relativi funzionamento e perchè scegliere uno Stato così (giusnaturalista) ke quello attuale(socialista).
All'avv. poi voglio dire ke conosco personalmente i fondatori ed ex dirigenti- rappresentanti della ormai sciolta fondazione dedicata a Keynes (JMK Memorial), ke da economisti compresero la necessità del'epoca di ostacolare il comunismo- a galoppo- con una terza via. Tutte le terze vie sono socialiste, ma quella keynesiana è ordo-liberale, non proprio liberista, ma tra le più vicine, ed adottate sia dal PPE ke dal PRI, ke conta molto di più di ciò ke si possa immaginare. Lo dico perchè io ero keynesiano come i fondatori di cui sopra e ci siano schifati di quel modello, preferendo cmq il lassair faire, ma consapevoli ke se oggi l'inghilterra è liberista è perchè ci fu proprio keynes, falso economista, figlio del suo tempo. Ora occorre pernsare ad un modello economico ed ad uno Stato ke siano estemporanei ed efficenti. L'eunomia, ke si basa sull'ultraliberismo e sul capitalismo imprenditoriale (non familiare-dinasitico-conservatore)è la risposta giusta, tanto attesa.
Vi invito a visitare il sito ed il blog del partito e semmai ad iscriversi, quanto meno per elevare una voce liberista e meritocratizzatrice .

Anonimo ha detto...

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Anonimo ha detto...

Assolutamente d'accordo con lei. L'idea di un bene, sono d'accordo con lei.
Condivido pienamente il suo punto di vista. Credo che sia una buona idea. Sono d'accordo con te.

Anonimo ha detto...

La scoperta dell'acqua calda !!!!
Mi sembra ovvio che se si spende di più di quello che si incassa è BANCAROTTA!!!!!
Abbiamo creduto per 40 anni (dal 1968) nelle favole e che si poteva distribuire prebende oltre che a chi era al potere anche all'OPPOSIZIONE e così abbiamocreato le regioni con 300 sanità e chi non sperpera è un CRETINO !!!!
Ma siamo al redde ratione!
ci voglio 100 Monti e quanti suicidi prima di dare il potere ad un buon padre di famiglia !!!
E perchè no anche un pochino di buon senso !!!!
Fino a quando sarà legale rubare casa, auto, soldi senza neppure una comunicazione all'interessato.

Anonimo ha detto...

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Anonimo ha detto...

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