“Ogni muta attività può ricoprire
l’intuizione dell’essere”
Elémire Zolla
Tempo fa scrivevo che le “divergenze parallele” tra liberali e libertari sono il riflesso della spaccatura gnoseologica tra protestantesimo e cattolicesimo nel ristretto ambito della dottrina individualista. Il senese Paolo Zanotto, esperto di pensiero libertario statunitense ed europeo, proprio al tema delle ripercussioni socio-economiche delle differenti sensibilità teologiche tra cristiani riformati e non dedica il presente saggio.
Per dare la scalata a cotanta materia di trattazione, l’autore chiama in causa due referenti intellettuali che lo accompagnano dalla prima all’ultima pagina del libro: uno è Max Weber, il sociologo tedesco che per primo mise etica protestante e moderno spirito del capitalismo in rapporto di causa/effetto, e l’altro è Josemarìa Escrivà de Balaguer, il santo spagnolo e fondatore dell’Opus Dei che, più di ogni altro prelato cattolico, nelle sue riflessioni pose l’accento sull’importanza dell’attività lavorativa come “banco di prova” della santità quotidiana.
Il paradigma storiografico a cui rinvia la scelta di questi nomi, come l’autore ha modo di sottolineare in fase introduttiva, implica il collocarsi su un vertice d’osservazione nettamente anti-strutturalista. Sia Weber che Escrivà, infatti, avrebbero sottoscritto l’asserto di Lord Acton secondo cui la religione sarebbe “la chiave della Storia”: le strutture sociali come conseguenza delle diverse visioni escatologiche del mondo, dunque, non viceversa. O, meglio, la Storia quantomeno come prodotto dell’interazione biunivoca e non lineare tra spirito umano e istituzioni materiali.
Ne viene un’indagine sulla genesi dell’economia di mercato condotta attraverso il raffronto di due tesi in evidente disaccordo, ma nondimeno accomunate da una matrice culturale coerentemente avversa al materialismo dialettico. Non che Zanotto cerchi di occultare le sue personali convinzioni in merito alla primogenitura del liberismo: dopo aver riepilogato i risultati degli studi storici più apertamente critici nei confronti della lezione weberiana (da Marjorie Grice-Hutchinson, che per prima riscoprì la tardoscolastica di Salamanca come generatore dei presupposti teorici su cui si sarebbe fondata l’economia di libero mercato, a Joseph Alois Schumpeter, che argomentò “con sufficiente nitidezza come la vulgata di una «scienza economica» esclusivamente moderna – sviluppata quasi ex novo, nel corso del XVIII secolo, da David Hume e Adam Smith sull’impalcatura fornita dalla filosofia liberale – fosse un commune verbum tanto diffuso quanto infondato”), il fellow della Fondazione De Ponti passa ad analizzare le vedute di Escrivà in merito all’etica del lavoro. E vi trova una teoria della spiritualità laicale in linea di discendenza diretta dalla vita activa civilis di san Bernardino. L’ascetica predicata dal santo di Barbastro attinge ai tratti distintivi di una visione antropologica ascrivibile sì a un sottoinsieme della tradizione cattolica, ma senz’altro lontanissima sia dal pauperismo che – a maggior ragione – dal mercatismo.
La radicalizzazione “poverista” deriva da un’erronea lettura del Vangelo, specialmente dove narra del giovane ricco (il quale si sente dire che, se vuole essere perfetto, deve vendere tutto quello che ha e darlo ai poveri: l’imponenza dell’anelito rende però evidente che trattasi di consiglio, non di precetto) e dell’amara riflessione con cui Gesù stesso commenta il diniego del ragazzo (“in verità vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli”, corsivo aggiunto). In realtà, quel passo ammonisce della fallacia insita nel ritenersi “giusti” solo perché benestanti, come se le fortune intramondane rappresentassero di per sé la prova provata della grazia divina (un errore di prospettiva soteriologica in pieno accordo con l’ottica farisaica e, non a caso, calvinista): basterebbe d’altro canto soffermarsi sulla ricchezza di Matteo prima di divenire apostolo, sull’apprezzata prodigalità della sorella di Lazzaro, sulla parabola dei talenti e sull’incondizionata amicizia del Messia verso due “magnati” come Zaccheo e Giuseppe d’Arimatea per sfatare il mito di Cristo “primo socialista della Storia”.
Il secondo eccesso, invece, esprime “l'applicazione al mercato di una legge di sviluppo lineare, una sorta di riedizione dello scientismo positivista illuministico-socialista seguace delle presunte leggi della storia invece che della prasseologia individualista cara alla nostra prediletta scuola austriaca” (Oscar Giannino). Non va dimenticato che la scuola austriaca mette al centro della sua ricerca scientifica e filosofica non già l’homo oeconomicus, dominato dall’angoscioso imperativo di aumentare il proprio capitale per carpire al Fato la prova della sua predestinazione alla salvezza, bensì l’homo agens nell’interezza e globalità della sua natura di “animale morale”. In una singolare coincidenza d’intenti con l’anti-determinismo del pensiero pre-razionalista, socratico e cusaniano, finalizzato più alla realistica comprensione dei limiti strutturali della ragione umana che non alla divinizzazione della conoscenza.
L’introduzione di irriducibili antinomie politico-ideologiche può in effetti considerarsi il portato storico del protestantesimo. La Riforma – che Bertrand Russell ebbe a definire “la ribellione delle nazioni meno civilizzate contro il dominio intellettuale dell’Italia” – produsse un corpus teologico segnato dal volontarismo divino, per il quale Dio assegna fede e successo già alla nascita e totalmente a prescindere dalle opere. Quindi riconsegnò l’elaborazione etica a una dimensione immanente, svincolata dalla tensione alla trascendenza, nel cui orizzonte la peculiare appartenenza di ognuno deve risultare “vincente” e denunciare il segno tangibile della Grazia. Soggettivismo contro collettivismo, assolutismo contro anarchia, moralismo contro nichilismo. Ma anche una scienza economica e sociale divisa tra il modello razionalista, fondato sull’utilità come rappresentazione numerica della felicità, e quello “avalutativo”, opposto e complementare, dal quale la felicità viene semplicemente estromessa del tutto. Entrambi tesi a fare la differenza unicamente sotto il profilo della quantità, vale a dire dell’immanenza, come se lo studio e il governo dell’azione umana potessero ridursi allo svolgimento di un algoritmo di massimizzazione.
Prima di prendere congedo dal lettore, Zanotto fa bene a specificare come la sua chiave di lettura corra il rischio di manierare eccessivamente l’illustrazione della dialettica tra le confessioni cristiane. Non tanto perché la tesi di fondo sia da rigettare, tutt’altro, quanto piuttosto per la semplicistica formazione di convincimenti che può provocare senza le dovute avvertenze. Protestantesimo e Illuminismo sono di sicuro all’origine di molte delle derive che hanno funestato la modernità; tuttavia non si possono disconoscere i loro molti buoni frutti: la diffusione della scienza e dell’industria su larga scala, l’affermarsi di una mentalità più propensa a “dare a Cesare” ciò che a ben vedere gli spetta, il definitivo approdo a società davvero aperte – e l’elenco potrebbe proseguire a lungo, secondo gli orientamenti e le preferenze culturali di ciascuno.
Un testo serio, documentato e scritto da uno specialista vero, per concludere, ottimo in particolar modo come vera e propria miniera di suggerimenti bibliografici per iniziare ad avventurarsi in uno sterminato ambito di ricerca.
Sullo stesso libro e sulle stesse tematiche: Carlo Lottieri
Per dare la scalata a cotanta materia di trattazione, l’autore chiama in causa due referenti intellettuali che lo accompagnano dalla prima all’ultima pagina del libro: uno è Max Weber, il sociologo tedesco che per primo mise etica protestante e moderno spirito del capitalismo in rapporto di causa/effetto, e l’altro è Josemarìa Escrivà de Balaguer, il santo spagnolo e fondatore dell’Opus Dei che, più di ogni altro prelato cattolico, nelle sue riflessioni pose l’accento sull’importanza dell’attività lavorativa come “banco di prova” della santità quotidiana.
Il paradigma storiografico a cui rinvia la scelta di questi nomi, come l’autore ha modo di sottolineare in fase introduttiva, implica il collocarsi su un vertice d’osservazione nettamente anti-strutturalista. Sia Weber che Escrivà, infatti, avrebbero sottoscritto l’asserto di Lord Acton secondo cui la religione sarebbe “la chiave della Storia”: le strutture sociali come conseguenza delle diverse visioni escatologiche del mondo, dunque, non viceversa. O, meglio, la Storia quantomeno come prodotto dell’interazione biunivoca e non lineare tra spirito umano e istituzioni materiali.
Ne viene un’indagine sulla genesi dell’economia di mercato condotta attraverso il raffronto di due tesi in evidente disaccordo, ma nondimeno accomunate da una matrice culturale coerentemente avversa al materialismo dialettico. Non che Zanotto cerchi di occultare le sue personali convinzioni in merito alla primogenitura del liberismo: dopo aver riepilogato i risultati degli studi storici più apertamente critici nei confronti della lezione weberiana (da Marjorie Grice-Hutchinson, che per prima riscoprì la tardoscolastica di Salamanca come generatore dei presupposti teorici su cui si sarebbe fondata l’economia di libero mercato, a Joseph Alois Schumpeter, che argomentò “con sufficiente nitidezza come la vulgata di una «scienza economica» esclusivamente moderna – sviluppata quasi ex novo, nel corso del XVIII secolo, da David Hume e Adam Smith sull’impalcatura fornita dalla filosofia liberale – fosse un commune verbum tanto diffuso quanto infondato”), il fellow della Fondazione De Ponti passa ad analizzare le vedute di Escrivà in merito all’etica del lavoro. E vi trova una teoria della spiritualità laicale in linea di discendenza diretta dalla vita activa civilis di san Bernardino. L’ascetica predicata dal santo di Barbastro attinge ai tratti distintivi di una visione antropologica ascrivibile sì a un sottoinsieme della tradizione cattolica, ma senz’altro lontanissima sia dal pauperismo che – a maggior ragione – dal mercatismo.
La radicalizzazione “poverista” deriva da un’erronea lettura del Vangelo, specialmente dove narra del giovane ricco (il quale si sente dire che, se vuole essere perfetto, deve vendere tutto quello che ha e darlo ai poveri: l’imponenza dell’anelito rende però evidente che trattasi di consiglio, non di precetto) e dell’amara riflessione con cui Gesù stesso commenta il diniego del ragazzo (“in verità vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli”, corsivo aggiunto). In realtà, quel passo ammonisce della fallacia insita nel ritenersi “giusti” solo perché benestanti, come se le fortune intramondane rappresentassero di per sé la prova provata della grazia divina (un errore di prospettiva soteriologica in pieno accordo con l’ottica farisaica e, non a caso, calvinista): basterebbe d’altro canto soffermarsi sulla ricchezza di Matteo prima di divenire apostolo, sull’apprezzata prodigalità della sorella di Lazzaro, sulla parabola dei talenti e sull’incondizionata amicizia del Messia verso due “magnati” come Zaccheo e Giuseppe d’Arimatea per sfatare il mito di Cristo “primo socialista della Storia”.
Il secondo eccesso, invece, esprime “l'applicazione al mercato di una legge di sviluppo lineare, una sorta di riedizione dello scientismo positivista illuministico-socialista seguace delle presunte leggi della storia invece che della prasseologia individualista cara alla nostra prediletta scuola austriaca” (Oscar Giannino). Non va dimenticato che la scuola austriaca mette al centro della sua ricerca scientifica e filosofica non già l’homo oeconomicus, dominato dall’angoscioso imperativo di aumentare il proprio capitale per carpire al Fato la prova della sua predestinazione alla salvezza, bensì l’homo agens nell’interezza e globalità della sua natura di “animale morale”. In una singolare coincidenza d’intenti con l’anti-determinismo del pensiero pre-razionalista, socratico e cusaniano, finalizzato più alla realistica comprensione dei limiti strutturali della ragione umana che non alla divinizzazione della conoscenza.
L’introduzione di irriducibili antinomie politico-ideologiche può in effetti considerarsi il portato storico del protestantesimo. La Riforma – che Bertrand Russell ebbe a definire “la ribellione delle nazioni meno civilizzate contro il dominio intellettuale dell’Italia” – produsse un corpus teologico segnato dal volontarismo divino, per il quale Dio assegna fede e successo già alla nascita e totalmente a prescindere dalle opere. Quindi riconsegnò l’elaborazione etica a una dimensione immanente, svincolata dalla tensione alla trascendenza, nel cui orizzonte la peculiare appartenenza di ognuno deve risultare “vincente” e denunciare il segno tangibile della Grazia. Soggettivismo contro collettivismo, assolutismo contro anarchia, moralismo contro nichilismo. Ma anche una scienza economica e sociale divisa tra il modello razionalista, fondato sull’utilità come rappresentazione numerica della felicità, e quello “avalutativo”, opposto e complementare, dal quale la felicità viene semplicemente estromessa del tutto. Entrambi tesi a fare la differenza unicamente sotto il profilo della quantità, vale a dire dell’immanenza, come se lo studio e il governo dell’azione umana potessero ridursi allo svolgimento di un algoritmo di massimizzazione.
Prima di prendere congedo dal lettore, Zanotto fa bene a specificare come la sua chiave di lettura corra il rischio di manierare eccessivamente l’illustrazione della dialettica tra le confessioni cristiane. Non tanto perché la tesi di fondo sia da rigettare, tutt’altro, quanto piuttosto per la semplicistica formazione di convincimenti che può provocare senza le dovute avvertenze. Protestantesimo e Illuminismo sono di sicuro all’origine di molte delle derive che hanno funestato la modernità; tuttavia non si possono disconoscere i loro molti buoni frutti: la diffusione della scienza e dell’industria su larga scala, l’affermarsi di una mentalità più propensa a “dare a Cesare” ciò che a ben vedere gli spetta, il definitivo approdo a società davvero aperte – e l’elenco potrebbe proseguire a lungo, secondo gli orientamenti e le preferenze culturali di ciascuno.
Un testo serio, documentato e scritto da uno specialista vero, per concludere, ottimo in particolar modo come vera e propria miniera di suggerimenti bibliografici per iniziare ad avventurarsi in uno sterminato ambito di ricerca.
Sullo stesso libro e sulle stesse tematiche: Carlo Lottieri
11 commenti:
Che post fantastico! Che posso dire? Il tema è per me fondamentale, e l'hai trattato ottimamente nonostante sia di una difficoltà estrema. Complimenti.
Ismael è sempre Ismael...complimentissimi!
Non mi intendo di teologia comparata nè di storia culturale dell'Europa, però un problema nelle interpretazioni storiche in stile "catholic pride" è che non esiste evidenza storica che i paesi cattolici abbiano fatto qualcosa di liberale. Sarebbe strano che un pensiero politico-filosofico così liberale non abbia dato alcun risultato liberale di nessun tipo ovunque sia stato egemone, mentre il monopolio delle istituzioni liberali storicamente esistenti ce l'hanno i paesi anglo-sassoni (Inghilterra col sui Commonwealth, gli Stati Uniti soprattutto, e forse anche l'Olanda).
Inoltre qual è l'effettivo peso della Scuola di Salamanca nella cultura cattolica? Si sa che San Tommaso ha diversi spunti proto-liberali nel suo pensiero, e la Scuola di Salamanca è addirittura antesignana di certe tedi della Scuola Austriaca, sebbene quest'ultima sia integralmente laica (mai neanche il più piccolo riferimento al cristianesimo in nessuna opera, se non le critiche in Socialismo di Mises e alcune note del tardo Rothbard, quello paleo-lib, in opere di carattere politico). Ma che degli sconosciuti senza peso abbiano scritto dei libri sulla moneta e sui prezzi nel '500 non prova granchè...
Probabilmente è legato al fatto che non è l'escatologia che fa la Storia: è l'accidente storico che fa la libertà. Dove non c'è monopolio politico ci sono lotte di potere: a volte da queste fuoriesce un ordine sociale liberale, il cui esito è un equilibrio tra rapporti di forza di gruppi contrapposti organizzati. Questa interpretazione realista, Jouveneliana, dei processi storici che hanno portato a società liberali la dovrò approfondire, ma almeno non contraddice l'evidente mancanza di istituzioni liberali nei paesi di impostazione cattolica, soprattutto la Spagna.
Per quanto riguarda l'Illuminismo, prima di tutto direi che non c'è nulla di liberale nel pensiero francese salvo alcuni intellettuali come Tocqueville o Constant. Che abbia quindi avuto conseguenze gravi nella Storia occidentale è fuori dubbio, ma cosa prova? In fin dei conti la Francia non era protestante...
Anche se non mi sono mai addentrato nella letteratura non vedo ragioni a priori per credere in uno stretto legame tra cattolicesimo e liberalismo, nè in un verso nè nell'altro.
Il liberalismo non è nè cattolico nè protestante: è anglosassone. E le cause vanno cercate nelle condizioni giuridiche e politiche e sociali ed economiche e militari della Gran Bretagna, secondo me.
LF
2909.splinder.com
Francesco:
È tutto merito dell’autore. Se vuoi ti presto il libro!
Federico:
Grazie, troppo buono!
LF:
Il pericolo dal quale intendevo mettere in guardia sottolineando il rischio, per quanto riguarda questo libro, di “manierare eccessivamente” l’illustrazione della sua tesi di fondo è appunto che la pregevole fattura del volume passi in secondo piano di fronte al sospetto di fare apologetica, di essere “catholic pride”.
Invece il bello di questo filone revisionista sta nel giusto mezzo tra “accidentalismo” e hegelismo che contribuisce a far recuperare al lettore in merito alla concezione dei processi storici. Se certi movimenti ideali non raggiungono una sufficiente massa critica, è vero, non possono trovare sbocco in istituzioni storiche loro confacenti. Tuttavia, senza un adeguato substrato culturale, nemmeno le circostanze più favorevoli possono nulla. Ecco perché ho scritto che una corretta visione storica deve quantomeno prendere in considerazione l’interdipendenza tra spirito e strutture, e lo ripeto.
A questo proposito non va dimenticato come l’Europa tardomedievale, alla vigilia dello scisma luterano e delle guerre di religione che ne sarebbero seguite, abbia visto germogliare i primi frutti della mentalità imprenditoriale – le banche e i commerci hanno reso possibile il Rinascimento, mentre la Repubblica di Venezia anticipava per molti versi le istituzioni vagheggiate dagli odierni libertari, tanto per rimanere all’Italia – sotto una comune appartenenza cattolica. Le istituzioni proto-liberali dell’Inghilterra “magnachartina” e giusnaturalista risalgono a ben prima dell’anglicanesimo, del resto. Inoltre la storia britannica successiva al distacco da Roma non va certo ricordata come una marcia trionfale verso le magnifiche sorti della libertà: la persecuzione dei cattolici, l’interdizione loro e degli ebrei dai pubblici uffici fino alla prima metà dell’Ottocento, la cospicua fuga dei dissenter e degli yankee verso i più ospitali lidi americani (dove si sarebbero poi presi rivalsa sull’oppressione coloniale della madrepatria) sono solo alcuni dei molti esempi di quanto dico.
Che poi un approccio “globale” allo studio dell’azione (economica) umana possa svilupparsi in forme del tutto aconfessionali si capisce benissimo, specie se teniamo presente in che periodo è sorta la scuola austriaca. Ma non doveva essere molto lontano dalla tregua laica, il Von Hayek che auspicava il ricongiungimento di liberalismo e tradizione religiosa in funzione anti-costruttivista, né lo doveva essere il Rothbard benevolo nei confronti del tomismo, a suo dire capostipite del moderno pensiero economico.
Certo, dopo che l’area latino-cattolica ha dovuto fronteggiare l’ostilità del mondo protestante – nel quale, a causa del fiorire di sette e congregazioni teologicamente inconciliabili, vedevano la luce i modelli istituzionali pluralisti che oggi sono di riferimento per la democrazia liberale – era logico che al suo interno gli assetti politici delle potenze nemiche non risultassero particolarmente graditi. Ma queste considerazioni dimostrano ancor più che la mancanza di linearità nei processi storici non comporta necessariamente l’impossibilità di individuare delle linee di tendenza al loro interno.
Ottimo commento.
In effetti la mia prima tesi è che sono condizioni di frazionamento sociologico, cioè di mancanza di un egemone, che in alcuni casi dà luogo ad istituzioni liberali.
La lex mercatoria o i mercanti italiani sono esempi di ordini "policentrici" con caratteristiche quindi care ai liberali. Queste condizioni capitano non raramente nella Storia, ma una società aperta di stampo anglo-sassone solo loro sono riusciti a crearla.
La mia seconda tesi è che il potere è sempre liberale contro voglia: non bisogna stupirsi quindi di politiche illiberali da parte del Re d'Inghilterra o del Papa o del Re di Spagna. Bisognerebbe stupirsi del contrario. La differenza importante è che anche a costo di una guerra civile e mezzo e di diversi scontri costituzionali il Re d'Inghilterra non ha mai accumulato il potere che hanno accumulato altri re.
Il contributo della Chiesa al liberalismo consiste soprattutto nell'aver proposto teorie in grado di ridurre la sovranità dello stato, come la dottrina giusnaturalista. L'interesse (jouveneiliano) è evidente: ma il risultato, liberale, è andato molto oltre gli originali scopi di difendere il proprio giardinetto di autorità/potere.
Anche in questo caso, quindi, si tratta del risultato accidentale dell'equilibrio di potere...
LF
Quando sscrive Ismael si muovono sempre i "nomi" della blogosfera liberale...io invidioso... :(
"basterebbe d’altro canto soffermarsi sulla ricchezza di Matteo prima di divenire apostolo, sull’apprezzata prodigalità della sorella di Lazzaro, sulla parabola dei talenti e sull’incondizionata amicizia del Messia verso due “magnati” come Zaccheo e Giuseppe d’Arimatea per sfatare il mito di Cristo “primo socialista della Storia”."
Questa frase andrebbe fotocopiata e distribuita nelle scuole.
In Italia la possibilità di diffondere il Vangelo nelle scuole è ampiamente garantita da 25000 pubblici dipendenti assunti con contratto a tempo indeterminato su esclusiva nomina da parte delle gerarchie vaticane, con un costo per le casse dello stato di 600 milioni di euro annui graziosamente prelevati anche dalle tasche di chi potrebbe non essere d'accordo.
Quindi si può giustamente far notare che ci sono state grandi personalità di pensatori liberali anche nel Cattolicesimo, ma che questo era puramente casuale e non ha nulla a che fare con la sostanza della parola di Cristo, del resto Sant'Ignazio non diceva per caso "Todo modo para buscar la voluntad divina"?
L'importante dal punto di vista della religione è salvare le anime, la politica e l'economia si preoccupano dei corpi e delle loro necessità, sono due fini completamente diversi.
Se non si considera questo è ben difficile giustificare per esempio i concordati firmati dalla Chiesa Cattolica con Mussolini e Hiltler quando già erano in funzione i campi di sterminio, o personaggi come madre Teresa che curava i malati con molte preghiere e pochi medicinali.
Mah... Qui il discorso è tutt'altro. Si discuteva dell'influsso della cultura cristiana sulle concezioni etico-politiche dell'Occidente, facendo una interessante associazione fra le correnti "scettiche" del liberalismo e il protestantesimo, mentre si diceva che, probabilmente, il libertarismo nasce da una concezione filosofica premoderna e, quindi, maggiormente in sintonia col filone più antico della cristianità (non necessariamente "cattolico", ma se volessimo semplificare...)
Una recensione davvero ben fatta, che coglie lo spirito del testo analizzato.
Complimenti!
Ma perché non organizziamo un incontro virtuale con l'autore? Qualcuno sa come raggiungerlo e invitarlo al dibattito?
per sfatare il mito di Cristo “primo socialista della Storia”.
non solo ''primo socialista della Storia'', ma anche come individuo storico veramente esistito.
Miticismo versus Storicità in breve
(1) Solo delle visioni del Messia Risorto condussero alcuni individui del I secolo a inventarsi delle storie su Gesù di Nazaret?
oppure
(2) Si originò qualcosa con Gesù di Nazaret che portò i suoi seguaci ad avere delle visioni del Messia Risorto?
fonte: http://mitodicristo.blogspot.it
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