mercoledì 30 aprile 2008

LO SPIRITO COMPETITIVO CONTRO I FENOMENI DEPRESSIVI DELLA SOCIETA'

di Lafinestrazzurra

La depressione, definita malattia del secolo, viene ascritta solo in minima parte a predisposizioni personali o condizionamenti esistenziali. Analisti come Parenti e Pagani sono fautori, non certo da soli, di una impostazione ambientalistica come causa scatenante della perdita di fiducia in stessi (e dunque il sorgere della malattia interiore). Analizziamo ora la storia culturale del fenomeno, in particolare di due civiltà dell’antico Oriente (Egitto ed India), nella convinzione che esse siano state in parte matrice del divenire dell’Occidente.

La società faraonica fu impostata sul tema preminente del culto dei morti, eppure, in apparente contrasto, la vita e la società erano in vitale fermento. L’arte, la cultura e la stessa medicina, enfatizzavano lo spirito pragmatico, preoccupate non tanto di teorizzare la vita, quanto di porre rimedio concretamente ai mali dell’uomo, frenando la sua corruzione fisica ed esaltando la sua efficienza.

Da osservare invece in termini negativi, un’altra grande civiltà sempre orientale, quella indiana: non a caso fu matrice di un pensiero filosofico assai evoluto, ma piuttosto preso verso la liberazione dello spirito dalle catene del corpo.
Ciò implica una svalutazione rassegnata della felicità sensoriale contingente, uno scettico abbandono delle gratificazioni legate alla realtà, un rifugio nell’ascesi; astensionista sul piano dell’azione e quindi con implicazioni depressive.
La scarsa confidenza con le potenzialità corporee fece strada alle ricerche di droghe come sostegno, con proprietà inebrianti (nel grigiore della vita quotidiana).

Di altro verso invece la splendida cultura ellenista, legata alla sensorialità dell’uomo comune, largamente basata sulla comunicazione (retorica), negatrice per assunto della depressione. Altrettanto poco depressiva fu la civiltà romana che sviluppò un'arte alla guerra, certo immorale, ma tutta protesa verso il piacere del dominio e il suo esercizio esibizionista anche dell’esteriorità, finendo per contaminarsi con l’eredità greca, ma acquistando in evoluzione.

Il cristianesimo originario, precedente alle invasioni barbariche, non ebbe alcun tono depressivo; fu polemico con l’edonismo ma capace di sostituirlo con la fratellanza e l’amore. Il passaggio a toni più ombrosi invece fu condizionato nel Medioevo (nel primo medioevo) da influenze esterne di popolazioni barbare di tradizione Celtica (caratterizzate dal grigiore di luoghi e dal dominio della casta sacerdotale druidica).

La stessa influenza pervase anche gli ambienti cristiani, la stessa concezione di punizione legata alla religiosità, l’isolamento della vita monastica, il divampare segreto della caccia alle streghe, il senso auto-protetto delle micro-comunità feudali fu sentore del cambiamento del costume (grigiore, cupezza, oscurità: cioè depressione).

Infine il mondo moderno, pone l’individuo in una società particolarmente invasa di insicurezza, abulia, indolenza, verso una progettualità positiva del futuro; pervasa da un comune sentire negativo, una maturata esigenza di assistenzialismo e una politica ormai bigotta, poco incline all’osservazione dei fenomeni reali, attaccata al palazzo e al potere. Non è un caso che le società del Nord Europa (fra cui la Danimarca) dove la politica ormai da anni si è radicata su un sistema nel suo insieme ispirato all’egalitarismo, alla solidarietà e al buonismo; la diffidenza verso la vita e il futuro siano tra i più alti, ne è la riprova l’alto tasso di suicidi. Il Welfare State ha pervaso la società, ha imposto i suoi ritmi, lasciando poco spazio alle libertà e ai sogni individuali.

Esiste allora una cultura anti-depressiva? Alla domanda gli autori in questione parlano di primato della comunicazione fra persona e persona (dialettica), prediligere la curiosità e lo spirito di scoperta (riformismo), ed infine da sottolineare una cultura dedita alla mobilità fisica e psichica e perciò duttilità di azione e di pensiero e dall’anti-automatismo (globalizzazione e competitività).
Competitività intesa dunque nella voglia di creare, di smarcarsi dalla staticità quotidiana, concependo la vita come un cammino verso nuovi e sempre più grandi traguardi.

12 commenti:

Anonimo ha detto...

proprio oggi con l'insediamento di Fini alla Camera dei Deputati, nel suo discorso di apertura ha parlato di relativismo culturale, altri hanno parlato di società a coriandoli, specialmente nei giovani
la perdità di valori certi, ha contribuito alla loro insicurezza e al dilagare di fenomeni depressivi.

Anonimo ha detto...

Il sistema socialista induce alla pigrizia, alla depressione e alla mortificazione dell'iniziativa imprenditoriale, e il paradosso è che a quel punto la gente chiede ancora più protezione, e dunque più socializzazione dell'economia, peggiorando le cose.

Il capitalismo viene additato come il male, non come la soluzione, proprio come un depresso crede di star meglio chiuso in casa anzichè fuori a confrontarsi col mondo per reagire al suo male.

D'altra parte, anche Mises aveva ragionato sulle origini psicologiche dell'antiliberalismo, e il tuo discorso è complementare al suo.

Anonimo ha detto...

Francesco, ti posso assicurare che la depressione può essere ascrivibile anche a predisposizione personale. Ci sono delle cause che possono scatenare i sintomi di tale malattia (perché di malattia si tratta), ma se l'individuo non è predisposto può superare con successo le peggiori avversità. Un esempio è stato dimostrato durante la seconda guerra mondiale da persone internate nei lager.Si è constatato che le persone positive riuscivano a superare (con vari stratagemmi) le selezioni,mentre i più deboli non riuscivano a farcela. Penso che ci sia (oltre a una componente emotiva e comportamentale) anche una componente fisica nelle persone depresse.Non capisco molto di medicina, ma ho avuto da fare personalmente con persone depresse e in loro manca una sostanza chiamata serotonina che produce un calo di umore e rende queste persone particolarmente vulnerabili. La compettività non è adatta a queste persone però penso che un ideale molto forte potrebbe aiutarle, ma i farmaci sono essenziali. Si può uscire da questo tunnel? Penso che non è possibile, ma controllare la malattia e condurre una vita normale, sono sicura che è possibile. Le persone che vivono vicino alla persona depressa possono fare molto per aiutarla, ma devono stare molto ATTENTI a farsi aiutare dal personale medico e dalle autorità competenti. Una persona che vive assieme a un depresso (se non si fa aiutare) rischia di ammalarsi a sua volta, perchè è una cosa troppo "grande" per lui (o per lei) e può rischiare di "crollare" psicologicamente.

Anonimo ha detto...

Che il depresso sia da trattare clinicamente è un'ovvietà... Ed è ovvio anche che la natura del suo male sia personale. Dicevo soltanto che probabilmente i sistemi politici influiscono sulla psicologia collettiva, e che il socialismo anche da questo punto di vista è negativo. Poi se un individuo ha una malattia è un caso che non ha rilevanza politica, è chiaro. Usavo il termine "depressione" in senso atecnico...

alessandro polcri ha detto...

si è vero la componenete esistenziale é importante, ma da sola non spiega le cause del dilagare di questo disturbo, che si prevede sarà la seconda malattia dopo quelle cardiovascolari a colpire l'uomo, ed in specie in quei paesi ad economia del benessere, dove le avversità quotidiane sono minori.
ed allora qual'è la risposta se non quella di ricercare le cause stesse nell'ambiente che ci circonda.
La peculiarità è che in quei paesi, dove lo stato copre i bisogni sociali dei propri cittadini in misura maggiore la malattia stessa, sembra prendere piede con più consistenza

Federico Zuliani ha detto...

Nella depressione, è chiaro si tratti di un fattore "personale". Ma certo un dato tipo di "ambiente" può favorire/accuire forme depressive.

pietro ha detto...

Io penso che un osservazione sostanzialmente corretta come quella che la depressione si può combattere anche con stimoli all'azione e all'iniziatva personale, e che quindi l'individualista può vincere o sopportare meglio la depressione, non comporta che la depressione sia causata dalla mancanza di stimoli o che l'individualismo sia una soluzione e una cura, come dimostra il fatto che persone dall'ego smisurato, che avevano una vita piena di stimoli e una realizzazione personale e professionale come Vittorio Gassman e Indro Montanelli soffrivano pesantemente di crisi depressive.
è giusto dire che un certo tipo di ambiente fuò favorire forme depressive, ma questo può avvenire anche in una società compiutamente capitalistica, una delle cose che possono acuire la depressione è il fallimento e l'inadeguatezza ad affrontare la competizione, pensare che il capitalismo sia solo una storia di successi è ingenuo, il capitalismo è sopratutto una storia di fallimenti, solo se chi è inadeguato e improduttivo fallisce si può avere progresso economico.
Come la descrizione delle culture e delle società antiche è parziale, come si può paragonare la situazione delle masse attuali con la situazione delle elite del tempo, trascurando la gran parte delle popolazioni che vivevano in stato di schiavitù o con un tenore di vita talmente ai limiti della sopravvivenza da non poter essere depressi per il semplice motivo che avevano problemi molto peggiori.
Comunque posso testimoniare un caso di depressione guarito:
Una signora soffriva di crisi continue, e i parenti non sapevano più cosa fare, improvvisamente il marito si ammalò gravemente ed ebbe bisogno di cure continue, da quel giorno la depressione sparì e non ritornò neanche dopo la morte del marito, questo può significare che una delle cose che acuisce la depressione è il senso di inutilità, e questo secondo me è legato molto parzialmente con i sistemi sociali.
Legare la felicità individuale ad un sistema sociale mi sembra una diminuizione dell'individuo, mi ricorda l'idea marxista che una volta creata la società nuova sarebbe nato anche l'Uomo nuovo.
Altro esempio pratico che mi fa venire qualche dubbio:
le società ex comuniste sono attualmente più ricche e con un tenore di vita migliore di quando c'era il Socialismo, ma i casi di depressione clinicamente accertati non sembrano diminuiti, anzi.....

Anonimo ha detto...

"le società ex comuniste sono attualmente più ricche e con un tenore di vita migliore di quando c'era il Socialismo, ma i casi di depressione clinicamente accertati non sembrano diminuiti, anzi"

Mi piacerebbe sapere dove prendi questi dati bislacchi. Come fai a dire che sotto un regime dittatoriale la gente possa essere meno depressa? E soprattutto quale istituto di ricerca può secondo te contare liberamente i depressi in un regime?

Poi l'altra cazzata è che "il capitalismo è soprattutto una storia di fallimenti". Ma cosa è un fallimento? Nulla, l'importante è trovare, prima o poi, il proprio posto nella società. Chissà quanti fallimenti avrà subito Walt Disney prima di creare il suo impero. Il capitalismo non è una storia di fallimenti ma un sistema di ricerca (difficile, indubbiamente, ma libera) di quello che sai fare meglio degli altri.

pietro ha detto...

Vorrei far notare che per quanto i paesi comunisti fossero dittature sanguinarie non hanno mai trascurato la ricerca scientifica e la medicina, da questo punto di vista no erano più arretrati dell'occidente.
I dati bislacchi erano su un articolo che citava dati dell'Organizzazione Mondiale della sanità.
Sul fatto che la possibilità concreta di fallimento sia un caposaldo del capitalismo penso non ci siano dubbi basta ricordare la Teoria dello sviluppo economico di Joseph A. Schumpeter in cui parla di distruzione creatrice.
Se per Argo può permettersi di dire che un fallimento non è niente significa che qui si disquisisce del sesso degli angeli, senza nessun colegamento con la realtà.
Non ha mai sentito di casi di suicidio in seguito ad un fallimento?
Io nel mio piccolo ne ho conosciuti 3 e quindi penso che presentare la società capitalistica come il paese dei balocchi sia intellettualmente disonesto.
Tutto qui.

alessandro polcri ha detto...

il mio articolo, si basa su dati scientifici, su analisi empiriche della nostra società,
nessuno mette in dicussione che il disturbo colpisce, tutte le società anche quelle capitaliste,
ma questo non sta a spiegare il perchè del fenomeno.

L'articolo vuole dimostrare o cerca di dimostrare che gli aspetti esterni come l'ambiente di fatto modificano i nostri comportamenti.Credo che oggi una delle cause predominanti del disturbo sia legata alla mancanza di progettualità che rende tutto relativo anche la stessa vita, non c'è più stimolo a migliorare, c'è un sentimento corrente nei ragazzi di apatia, la consapevolezza di aver tutto. il vaccino alla depressione non è la società capitalista, ma lo spirito competitivo all'interno di noi stessi che ci permetta di affrontare il domani in modo positivo.

Anonimo ha detto...

Ti sfido a postare un link che supporti i tuoi presunti dati. Sono SICURO di poter escludere che siano veri. Tutti i regimi falsificano i dati (anche scientifici) che possano gettare un'ombra sui loro dirigenti. E un dato come quello dei suicidi per depressione rientrava esattamente in questa categoria.

Sulla questione dei "fallimenti": è difficile discutere con qualcuno che cambia le carte in tavola. Prima parli di "fallimenti" in modo atecnico, nel senso di chi non riesce ad ottenere ciò che spera (ad esempio un determinato lavoro) poi mi parli dei "suicidi per fallimento" riferendoti evidentemente a tutt'altra fattispecie, cioè quella di chi, coperto dai debiti, si vede stretto in una morsa economica che gli preclude la possibilità di sperare in una ripresa, e "fallisce" nel senso legislativo del termine.

Le due cose sono assai diverse, perchè se è vero che il fallimento in senso atecnico è frequente ma insignificante dal punto di vita esistenziale il fallimento per debiti è sì una tragedia, ma che si verifica rarissimamente (e di solito per un comportamento colpevole dell'agente economico)

Cervo ha detto...

"il fallimento per debiti è sì una tragedia, ma che si verifica rarissimamente (e di solito per un comportamento colpevole dell'agente economico)"

Ma per chi è una tragedia? Spesso per tutti tranne che per l'imprenditore.

"una cultura dedita alla mobilità fisica e psichica e perciò duttilità di azione e di pensiero e dall’anti-automatismo (globalizzazione e competitività)"

Scusa ma il l'associazione tra "duttilità di azione e di pensiero" e "globalizzazione e competitività" l'hanno fatta Parenti o Pagani oppure l'hai fatta tu?

Se ne possono fare pure altre (anche spiritose).

La tua sembra una associazione molto "liberista" per così dire.


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