mercoledì 17 settembre 2008

A.I. - UOMO vs MACCHINA

di Francesco Lorenzetti

Gli Scacchi sono il gioco intellettuale per eccellenza. Senza far uso di strumenti casuali (come i dadi o la roulette), che inquinerebbero la contesa, due intelletti vengono contrapposti in una situazione così complessa che nessuno dei due può sperare di comprenderla completamente, e tuttavia il gioco è sufficientemente analizzabile, di modo che ciascuno dei due può sperare di sconfiggere l’altro. Il gioco è tanto profondo e sottile che ha permesso la nascita di giocatori professionisti, ed ha sopportato senza esaurirsi oltre 200 anni di partite e di studi analitici intensivi. Tali caratteristiche rendono gli Scacchi un’arena naturale per i tentativi di meccanizzazione. Se si potesse sviluppare un giocatore artificiale vincente, si potrebbe affermare di aver penetrato il nucleo dell’attività intellettuale umana.

Così Herbert Simon, premio Nobel per l’economia, sintetizzò nel 1960 il motivo degli immensi sforzi dei molti studiosi che cercavano, già all’epoca, di creare una macchina che sapesse giocare a scacchi. Fu soprattutto negli USA e nell’URSS che i governi finanziarono progetti molto costosi per la ricerca di un’intelligenza artificiale che riuscisse a cimentarsi in questo gioco che sembrava perfetto allo scopo, perché la sua mera componente logico-matematica, pure presente, non basta per giocare, a causa dell’impossibilità di conoscere e valutare tutte le variabili in causa. I giocatori esperti sanno infatti che è impossibile calcolare con precisione tutte le alternative di gioco, anche per un computer. Esistono precisamente 10^120 partite possibili, troppe anche per un superprocessore.

Inizialmente si tentò allora la strada di algoritmi “intelligenti” che permettessero alla macchina di valutare solo le mosse “interessanti”, spingendo la propria potenza di calcolo in una direzione logicamente determinata, evitando di perdersi in calcoli su mosse palesemente assurde. Questa strada fu intrapresa fino agli anni ’70, anche perché all’epoca non esistevano calcolatori abbastanza potenti ed essa sembrava l’unica alternativa possibile. I risultati furono però assai scarsi, tanto che un giocatore amatoriale poteva battere senza difficoltà qualsiasi programma allora in circolazione. Una mossa che, infatti, risulta ovvia o, al contrario, “palesemente assurda” per un essere umano è per un computer assolutamente identica alla “mossa giusta”, almeno inizialmente, finché la sua potenza di calcolo non ha sviluppato l’albero completo delle possibilità concludendo che magari, entro una ventina di mosse, ci sarà della perdita di materiale. E il problema, che non è mai stato risolto, è indicare ad un computer dei criteri che lo indirizzino verso una strategia anziché verso tentativi caotici selezionati “ex-post”.

Eppure gli scienziati affermavano, al contrario, che esisteva un continuo progresso nel campo della logica applicata agli scacchi, ed incominciò a diffondersi l’idea che presto le macchine avrebbero battuto il campione del mondo umano. Tutto ciò era palesemente falso, frutto di una malcelata ideologia della scienza, ma alimentò la fervida immaginazione di giornalisti, romanzieri e registi come Stanley Kubrick, che nel suo film “2001 Odissea nello spazio” faceva vincere al computer di bordo HAL900 una partita paradigmatica contro il capitano. Infatti, HAL sacrificava nel film la propria Regina (il pezzo più forte) per una strategia che portava allo scacco matto, dimostrando così di avere una “visione di gioco” intelligente. Kubrick era un fortissimo giocatore di scacchi, e sapeva senz’altro che all’epoca in cui fu girato il film un’ipotesi come quella era davvero “fantascientifica”. Ripeto che non fu mai trovato, infatti, un algoritmo tanto complesso da riprodurre gli schemi mentali di un giocatore umano.

La rivoluzione vera avvenne a partire dagli anni ’80, quando i primi calcolatori di una certa potenza iniziarono a diffondersi, permettendo agli studiosi di software scacchistici di tentare quella strada che, fino a pochi anni prima, sembrava impercorribile: quella dell’esplorazione delle posizioni “per forza bruta”, cioè di un software dotato di un algoritmo di valutazione molto semplice (che teneva conto della perdita di pezzi, della sicurezza del Re, del numero di caselle controllate e dello scacco matto) ma capace di esplorare un numero di mosse enorme selezionando ex-post la linea di gioco più vantaggiosa. E quella fu la chiave, perché ancora oggi i software scacchistici funzionano così: “tentano” ogni mossa possibile, e poi ogni mossa dell’avversario, dopodiché valutano, a distanza di una dozzina di mosse circa, a quale posizione conviene arrivare in base ai criteri (molto semplici) detti sopra.

I risultati furono sorprendenti: nel 1997 il supercomputer della IBM Deep Blue, che era in grado di generare 200.000.000 posizioni al secondo, batté Kasparov (il campione del mondo FIDE) in un torneo con tempi regolamentari (2 ore a testa). Il campione umano si lamentò, accusando i tecnici della IBM di barare “aiutando” il supercomputer con schemi immessi da qualche Grande Maestro, ma non si ebbe mai prova di questa accusa. Né varrebbe in ogni caso a provare che i computer non hanno superato gli umani, perché oggi qualsiasi software commerciale batterebbe il campione del mondo, e da questo non si può prescindere.

Si trattò allora, in definitiva, di quello di cui parlava Simon? La scienza aveva davvero creato un’intelligenza artificiale capace di superare la mente umana? Per rispondere a questa domanda, che ha profonde implicazioni morali e filosofiche, voglio riportare la dichiarazione che Anand, vice-campione mondiale FIDE e amico personale di Kasparov, fece dopo il match del ’97: “Per me Deep Blue non ha nulla a che fare con l'intelligenza artificiale. Esso rappresenta solamente l'incredibile violenza bruta che queste macchine esprimono, nè più nè meno”.

E, in effetti, come dargli torto? A ben vedere, la storia ci insegna che sono falliti tutti i tentativi di far riprodurre al computer un gioco intelligente, mentre i primi progressi sono arrivati solo da quando i programmatori hanno puntato tutto sulla “forza bruta” di calcolo della macchina. In sostanza, un computer che gioca a scacchi è come una gallina che trova l’uscita del pollaio solo dopo aver sbattuto la testa milioni di volte contro il recinto. Nulla a che vedere con l’intelligenza. Sembra dunque che siamo di fronte all’evidenza empirica di ciò che già Russel e Godel avevano teorizzato molto tempo fa: l’intelligenza non si può ricreare con gli strumenti della matematica, né esisterà mai un’intelligenza artificiale in alcun campo. Tutto sommato, una conclusione rassicurante.

33 commenti:

pietro ha detto...

Il problema non è che una macchina non possa essere intelligente, ma che non lo sarà mai in senso umano.
Per quanto possa dispiacere a chi crede in un anima indipendente dalla materia anche l'intelligenza umana è frutto della forza "bruta" di 100 miliardi di neuroni.
Non so se hai letto di Damasio, "l'errore di Cartesio" mostra, con un buon numero di esempi e di oservazioni che l'intelligenza umana, non è solo quella della definzione del dizionario, capacità di ragionare impararare e risolvere problemi, ma è fortemente influenzata dalle cosiddette emozioni, dai segnali nervosi di tutto il corpo e dagli ormoni che vi circolano.
La mente non è un entità separata che fa parte del corpo, ma un elemento inscindibile e parte al 100% di un unico organismo.
Un computer non avrà mai paure, speranze e nemmeno tutte quelle cose che effettivamente influiscono sul cervello umano, come mal di testa, mal di pancia o mestruazioni.
Un esempio di emozione che è mentale, intelligente e totalmente fisica è il desiderio.
Come può un computer desiderare?
C'è poi un aspetto che ha molto a che fare con la capacità dei giocatori di scacchi umani, come faceva notare O.E.Wilson l'intelligenza umana si è sviluppata in un ambiente in cui la capacità di risolvre i problemi affrontando razionalmente tutti gli aspetti era assolutamente inutile, i rischi che correva l'uomo primitivo ( del quale abbiamo ancora la stessa dotazione cerebrale ) richiedevano una capacità di approssimare, di trovare velocemente la soluzione che aveva le maggiori probabilità di essere non molto lontana da quella giusta.
Un approccio che può essere definito riduttivamente euristico.

Anonimo ha detto...

Vedi Pietro, io non sono d'accordo a ridurre la mente al cervello, col suo ammasso di neuroni, influssi ormonali, processi chimici ecc.

Se così fosse, non dovrebbe essere difficile per la scienza riprodurre un'intelligenza artificiale, magari semplice, diciamo del calibro di una formica, perchè ogni macchina si può riprodurre.

Io dico sempre che l'intelligenza è un mistero, perchè non si sa da dove arrivi, nè come funzioni. Tu parli della "forza bruta" dei neuroni, ma ti posso assicurare che un Grande Maestro si scacchi analizza al massimo un centinaio di mosse per volta, e quelle gli bastano per battere il computer che invece è costretto ad analizzarle, senza uno schema strategico, TUTTE fino a dove gli è possibile arrivare con la sua potenza di calcolo (approssimativamente qualche centinaio di miliardi di mosse per volta).

E' quello che cercavo di spiegare nell'articolo: se è vero che, come dici tu, l'uomo ha acquisito evolutivamente una capacità di "di approssimare, di trovare velocemente la soluzione che aveva le maggiori probabilità di essere non molto lontana da quella giusta", quasi come se questa capacità fosse un algoritmo affinato nei millenni e fissato in qualche parte del nostro cervello, allora perchè la scienza non riesce a riprodurre un giocatore di scacchi che riconosca una qualsiasi strategia di gioco anzichè giocare "a casaccio" come fanno ora tutti i software?

Ormoni, neuroni, reazioni chimiche non possono spiegare da soli la vita, nè l'intelligenza. Come ho scritto nell'articolo, potremmo dimostrarlo teoricamente (vedi l'esito non voluto degli studi di Russel e Boole), ma nel caso degli scacchi siamo di fronte alla dimostrazione empirica che, se vogliamo ridurre l'intelligenza ad un fenomeno meccanico-matematico, siamo sulla strada sbagliata.

E in questo non c'entrano il desiderio e le emozioni, perchè se fosse come dici tu (cioè che esse dipendono da fattori puramente fisici come gli ormoni) anch'essi sarebbero riproducibili artificialmente.

pietro ha detto...

Il fatto che simulare una mente comporti simulare un intero sistema nervoso, con tutte la chimica degli ormoni e tutti i segnali della sua parte periferica lo rende un impresa praticamente impossibile.
Io non riducevo la mente al cervello anzi dicevo proprio che le conoscenze attuali portano a pensare che la mente sia un fenomeno che ha la sua centrale operativa nel cervello ma è frutto dell'intero corpo.
L'origine puramente materiale dell'intelligenza potrà pure essere considerata un ipotesi, ma negarla senza avere nessuna ipotesi alternativa altrettanto coerente con tutto cio che si sa del funzionamento del sistema nervoso negli eseri viventi, a partire dal lombrico fino all'uomo non mi sembra molto comprensibile.
Anche perchè alla fine chi pensa che esistano fenomeni NON fisici che sono alla base del funzionamento della mente hanno l'onere della prova, altrimenti rischiano di avere una credibilità pari al mago otelma.

Anonimo ha detto...

L'onere della prova? Esiste qualcosa di provato al mondo? Perché bisogna necessariamente ragionare in termini scientifici? Cosa mai ha "provato" la scienza?

Io dico solo che mi sembra inaccettabile l'idea meccanicista dell'intelligenza. Gli stessi scienziati l'hanno rigettata!

Non si può semplicemente dire che essa è un mistero? Cosa c'è di male in questo?

pietro ha detto...

Che la genesi e il funzionamento della mente siano ancora in gran parte un mistero e che qualsiasi teoria meccanicistica sia poco realistica è indubitabile, ma che per questo sia necessario ricorrere a spiegazioni estranee alla pura complessità di un organismo fatto di vile materia mi sembra una semplificazione di comodo, tutto qui.
IO preferisco ragionare in termeni scientifici perchè l'alternativa che vedo diffondersi è quella degli Ayatollah che predicano ancora oggi l'idea che la terra sia piatta, e non mi piace molto.

Anonimo ha detto...

H. Simon, se non erro, è lo stesso teorico noto in psicologia per aver descritto la capacità della mente, umana e non, di impostare problemi avendo a disposizione un numero molto limitato di informazioni. Il computer è incapace di fare qualcosa del genere. Come ha spiegato bene Lorenzetti, nel caso degli scacchi il computer batte l'uomo semplicemente giocando istantaneamente tutte le possibili partite che conseguono alla mossa del giocatore umano e scegliendo ex-post la migliore. Il computer è dunque totalmente incapace di fare ipotesi a priori come il giocatore umano.

Anonimo ha detto...

Caro pietro, il fenomeno non fisico che è componente essenziale della mente è semplicemente il tuo stato di coscienza. Lo stato di coscienza è totalmente inspiegabile in termini materialistici, ma è al tempo stesso un fatto empirico (seppure non condivisibile con gli altri, se non in via indiretta. Di qui il paradosso che la coscienza è un fatto immateriale, empiricamente fondato e non esplorabile direttamente in termini di osservazione pubblica condivisa. Se il materialismo assoluto fosse giusto, in psicologia avremmo il cosiddetto paradosso dello zombi: cioè, in teoria dovremmo essere tutti zombi, macchine perfette prive di esperienza interna. Le emozioni e i pensieri sarebbero puri fatti neurofisiologici. A proposito, l'argomento che i computer non possono avere emozioni è errato: essendo materiali, hanno un corpo, sia pure metallico. Quindi dovrebbero avere emozioni. La verità è che quello che ci differenzia da un computer non sono gli stati corporei alla base delle emozioni, ma la possibilità di rappresentare nello stato di coscienza, e cioè immaterialmente, le emozioni.

Anonimo ha detto...

Pietro ha scritto "ma che per questo sia necessario ricorrere a spiegazioni estranee alla pura complessità di un organismo fatto di vile materia mi sembra una semplificazione di comodo". Se una ipotesi è logicamente fondata, si ricorre ad essa. Newton ricorse alla ipotesi delle forze a distanza (gravità, elettricità ecc.) anche se erano del tutto inspiegabili in termini di "vile materia". Poi l'abitudine ci ha fatto accettare la "non-magicità" delle forze a distanza empiricamente.

pietro ha detto...

Una piccola osservazione sull
L'argomento dell'azione a distanza delle forze come la gravità e l'elettromagnetismo è semplicemente sbagliato, la teoria della relatività e l'eletrodinamica quantistica ne hanno fatto carta straccia da molti decenni, non esiste azione a distanza ma TUTTE le forze sono frutto dello scambio di particelle, e nel caso dell'elettromagnetismo è provato al di là di ogni ragionevole dubbio, la gravità poi è frutto semplicemente di una deformazione dello spazio tempo e la gravità newtoniana è proprio l'esempio di una semplificazione di comodo che è servita finchè non si è scoperto la reale essenza della gravità.
E anche la teoria della relatività è abbondantemente suffragata da osservazioni di fenomeni che aveva previsto.
E tutto spiegato in termini di vile materia.
Il fatto che non si riesca a spiegare dettagliatamente la mente e la coscienza non rende necessaria una spiegazione metafisica, ma solo comoda, si nega l'esistenza di una cosa solo perchè non siamo ancora in grado di spiegarla, irrazionalismo puro.
Sul computer ho chiarito che non essendo un organismo, come l'essere umano non può comportarsi come tale, e l'argomento degli zombi è stato affrontato da Daniel Dennett che ne ha dimostrato l'inconsistenza.

Anonimo ha detto...

Carta straccia da pochi decenni? Si, ma prima di quei decenni, più di un secolo di accettazione. Quanto al termine "metafisica" applicato alle teorie non materialistiche, vuol dire non aver compreso il meccanismo della scienza sperimentale. Questa è questione di metodo, di variabili osservabili e di protocolli verificabili o meno, e non di postulati (questi si metafisici) sulla natura di queste variabili, materialistici o meno. Presuporre che solo variabili "materiali" siano scientifiche vuol dire applicare un principio speculativo e quindi antiscientifico. Infine, tutti gli studi seri sulla coscienza (vedi ad esempio "Consciousness and Mental Life" di Daniel N. Robinson, 2007) sono perfettamente consapevoli della natura del tutto immateriale del fenomeno coscienza, e altresì della sua esistenza empiricamente osservabile. Parlare di correlati materiali della coscienza come tentano di fare alcuni (per esempio Penrose, che peraltro straparla di stati quantistici i cui rapporti con lo stato di coscienza sono di natura metaforica e non causativa come pretenderebbe lui) significa parlare di qualcosa d'altro, di fenomeni quelli sì materiali certamente in connessione con la cosccienza, ma ad essa non riducibili.

pietro ha detto...

SUl funzionamento del cervello, esistono moltissime evidenze sperimentali inconfutabili, che come ho detto non riescono a spiegare compiutamente la coscienza, ma quello che mi chiedo è se esiste una singola teoria che riesca a spiegare la coscienza in termini di entità estranee al mondo materiale.
Se qualcuno me la sa spegare è ben gradito, altrimenti negare l'origine materiale della mente contrapponendogli solo argomenti fideistici mi sembra una speculazione astratta.
MI sembra di capire che secondo voi tutto ciò che oggi non si riesce a spiegare è per forza frutto di qualcosa di estraneo al mondo fisico.
Questo più che scienza lo chiamerei animismo.
Il fatto che qualcosa sia immpteriale non significa che non è parte e frutto del mondo fisico, il teorema di Archimede è immatariale, ma è parte del mondo fisico, qualsiasi entità intelligente in qualsiasi parte dell'universo lo scoprirebbe identico.

Anonimo ha detto...

Caro Pietro, tutte le evidenze sperimentali dimostrano l'esistenza di circuiti neuronali di secondo livello che svolgono la funzione di supervisione. Ora, tecnicamente questo è il correlato materiale della coscienza, ma non è l'esperienza psichica e immateriale della coscienza. Le evidenze sperimentali non riescono a spiegare il fatto sconcertante che la coscienza semplicemente esiste come esperienza interna. In un mondo materiale semplicemente non dovrebbe esserci. Dovremmo essere dei zombi indistinguibili esteriormente da un uomo, dotati dei circuiti neuronali di secondo livello di cui prima (=coscienza, più o meno), ma non dotati di esperienza interna. Questo non è un problema risolvibile e nemmeno discutibile scientificamente, ma è un problema reale. Dal punto di vista della scienza basta dimostrare che ci siano i circuiti di cui sopra. Ma dal punto di vista del sapere, che è qualcosa di più della scienza, non basta. Il salto dal circuito materiale osservabile all'esperienza interna immateriale è inspiegabile in termini scientifici. Se l'acqua avesse coscienza, non basterebbe dimostrare che l'acqua ha dei circuiti neuroacquatici che si attivano quando essa bolle per spiegare l'esperienza interiore del caldo provata dall'acqua. Ti riconsiglio il libro di Robinson.

Anonimo ha detto...

Pietro scrive che "ma quello che mi chiedo è se esiste una singola teoria che riesca a spiegare la coscienza in termini di entità estranee al mondo materiale." Non esiste nemmeno una teoria che, a partire da evidenze neuronali, riesca a spiegare come mai questi "eventi" neuronali non si limitino a eseguire il loro lavoro a livello materiale e poi producano, chissà come, quella cosa del tutto immateriale che è lo "stato di coscienza". L'onere della prova lo hanno anche i materialisti, i quali spesso approfitano del loro supposto status di "scienziati per definizione" per terrorizzare gli avversari.

Anonimo ha detto...

Pietro scrive "Mi sembra di capire che secondo voi tutto ciò che oggi non si riesce a spiegare è per forza frutto di qualcosa di estraneo al mondo fisico." No. il problema è accettare il fatto che laddove ci sia una variabile chiaramente immateriale per esperienze diretta di tutti (la coscienza), non basta aveer trovato il correlato materiale per illudersi di aver risolto il problema. E poi, sei sempre così sicuro che nella fisica sa tutto ridotto al mondo fisico? Il concetto di "mondo fisico" in fisica è altamente controintuitivo e diverso dal concetto comune di materia. Quando i non-scienziati parlano di realtà parlano dello spazio tridimensionale newtoniano.

Anonimo ha detto...

Pietro scrive "l teorema di Archimede è immatariale, ma è parte del mondo fisico, qualsiasi entità intelligente in qualsiasi parte dell'universo lo scoprirebbe identico." Il teorema di Pitagora è una qualità della materia, non è una entità immateriale (una sostanza, direbbe Aristotele) che inizia a vivere una vita propria, che ha una esperienza interna, che parla e così via. Poi c'è il problema del teorema di Pitagora non solo come relazione tra entità materiali, ma come "oggetto" reale rappresentato che descrive la relazione tra entità ideali che rappresentano e approssimano entità materiali. Ora, questo teorema di Pitagora "Reale" esiste solo nella coscienza, e non mai nel mondo materiale. Esso era potenzialmente rappresentabile ab aeterno, ma non automaticamente rappresentato in quel non-luogo fisico che è la coscienza. Prima della coscienza esisteva come relazione, ma non come entità realmente rappresentata nella coscienza di Pitagora. Non basta dire che era potenzialmente rappresentabile per dire di aver risolto il problema della sua reale esistenza nella mente di un uomo. Abnche qui c'è un di più, un salto per ora non spiegabile.

pietro ha detto...

Io per mondo fisico non intendevo il concetto comune, ma quello della realtà, con i suoi aspetti controinruitivi, con, p.e. la meccanica quantistica che spiega precisamente il comportamento della materia, ma, come diceva Feynman, è una cosa che nessuno al mondo ( neanche lui ) poteva dire di aver "capito".
Purtroppo lo stato attuale della conoscenza scientifica è oltre il senso comune o l' esperienza empirica, e nonostante ciò fa volare i satelliti, funzionare i computer curare le malattie.
Il correlato materiale della coscienza non mi sembra una cosa così spaventosa, io dico solo che non vedo nessun argomento credibile che impedisca alla pura e semplice materia, ad un certo livello di complessità e organizzazione di far emergere quella caratteristica che è la coscienza.
Perchè un origine materiale della coscienza dovrebbe ridurne l'importanza o renderla meno meravigliosa?
Forse il punto di contrasto tra le mie opinioni e le tue è semplicemente questo, che io non ritengo che l'origine materiale della coscienza sia una riduzione della sua importanza o renda le persone degli zombi.
IL giorno in cui dovessse succedere che una macchina giunta ad un livello sufficientemente alto di complessità sviluppi una fomra di coscienza, questa sarebbe altrettanto meravigliosa, misteriosa e immateriale di quella umana.
Il salto logico che vedo è tra l'incapacità attuale di spiegare le coscienza in termini materiali, e l'idea che questo debba essere assolutamente impossibile.
Quante cose erano state dichiarate inspiegabili o misteriose e poi sono state tranquillamente spiegate senza perdere niente del loro aspetto meraviglioso?
Decidere in base ad una caricatura del materialismo (il mondo fisico non è quello della fisica contemporanea ma quello di teorie incomplete e approssimative di 200 anni fa) che certe cose non possano ( o peggio non debbano ) in assoluto essere spiegate mi sembra un atteggiamento che può andare bene in una madrassa.
Io non ho una fiducia cieca nella scienza e nemmeno negli scienziati e non ho nessuna intenzione di terrorizzare nessuno, solamente rifiuto ai filosofi e ai preti il diritto di decidere a priori ciò che la scienza può indagare e cercare di spiegare.
Spero di essere stato chiaro.

Anonimo ha detto...

Eheheheh... Avete aperto il vaso di Pandora.

Leggere Searle in materia: "La Mente".

Le macchine manipolano simboli. Che lo facciano meglio degli umani è tranquillamente possibile. Che diventino come gli umani, al contrario, no. La Mente non può emergere da una serie di funzioni matematiche, il teorema di Goedel lo impedisce. L'unico modo per creare la mente in laboratorio, o meglio l'unico tentativo possibile è quello che si vede nel film l'uomo bicentenario: costruire substrati biologici sintetici che imitino il cervello e vedere cosa succede.

Anonimo ha detto...

Su Searle ho solo una cosa da dire: fiumi di parole per poi cavarsela dicendo che la coscienza è una "qualità emergente" del cervello. Su questa storia della "qualità emergente" e altri termini consimili torme di semiscienziati/semifilosofi ci fanno una carriera. Invece, per chi ha spirito ciritico, "qualità emergente" è solo un gioco di parole per chi cerca una fede chiamata scienza.

Anonimo ha detto...

"IL giorno in cui dovessse succedere che una macchina giunta ad un livello sufficientemente alto di complessità sviluppi una fomra di coscienza, questa sarebbe altrettanto meravigliosa, misteriosa e immateriale di quella umana." Lo hai detto. Possiamo creare una macchina dotata di coscienza segunedo passo passo, come fosse un algoritmo, la natura, ma non sapremo mai davvero come abbiamo fatto. Un po' come le famose scimmie di non so quale esperimento che sanno manipolare simboli senza saper parlare e senza voler comuncare niente.

Anonimo ha detto...

"costruire substrati biologici sintetici che imitino il cervello"?

Non è la stessa cosa che costruire una macchina?

pietro ha detto...

Cosa ne pensate di questo? :
http://darwininitalia.blogspot.com/2008/03/gerald-edelman-e-la-seconda-natura.html

Anonimo ha detto...

L'ho taggato. Articolo interessante, ma mi ha lasciato un po' confuso. Forse dovrei leggermi di prima mano qualcosa di questo Eldeman, il post era troppo sintetico per essere letto da un non addetto ai lavori.

Mi è rimasto, in particolare, un dubbio, e magari qualcuno mi può dare delucidazioni dato che non mi intendo molto di queste cose.

Non è un paradosso tirare in ballo l'epigenetica per spiegare la nascita dell'intelligenza, dato che quest'ultima è, in senso lato, la condizione per il funzionamento del principio evolutivo-epigenetico stesso?

Anonimo ha detto...

Mi leggerò con attenzione l'articolo su Edelman segnalato da Pietro. L'ultima volta che ho letto Edelman, e parlo di circa 15 anni fa, sosteneva che la coscienza è un epifenomeno inifluente del cervello. Insomma, la nostra esperienza interiore, che ci sia o meno, è impotente. Oppure, la nostra vita interiore è un filmino insensato dentro di noi che non ci rende diversi dall'ipotetico zombi. In verità, penso che questa sia la posizione più coerente partendo da principi meccanicistici. Vedrò se ha cambiato idea.

Anonimo ha detto...

"Un po' come le famose scimmie di non so quale esperimento che sanno manipolare simboli senza saper parlare e senza voler comuncare niente."

Attenzione: non è vero che le scimmie (apes) non sanno comunicare manipolando simboli. Washoe, Sarah, Kanzi, ecc... sono tutti esempi di comunicazione simbolica. Un conto è l'assenza di comunicazione. Un conto è l'assenza di comunicazione linguistica. Il linguaggio si è evoluto da forme di comunicazione primitiva basate sulla prosodia. Poi ha assunto via via un contenuto linguistico di matrice simbolica. La scimmie associano simboli alla scopo di comunicare. Indicano quando vogliono qualcosa. La Gardner, se non sbaglio, era riuscita ad insegnare ad uno scimpanzè il linguaggio dei segni dei sordomuti. Ciò che è dubbio è se lo facciano cognitivamente o skinnerianamente. Ma soprattutto ciò che da decenni si tenta di capire è se siano in grado di comporre frasi con forme grammaticali sensate. Per adesso quando una scimmia vuole un arancio preme i simboli "arancio, me, mangia" in ordine sparso e questo non è linguaggio.

Anonimo ha detto...

Caro Jinzo, le scimmie di cui parlavo io erano scimmie ideali di un esperimento ideale. Altre volte in questo esperimento ideale c'erano umani che manipolavano ideogrammi cinesi. D'accordo invece che le scimmie, fino a un certo livello, siano in grado di comunicare. Non sono mica zombi.

Anonimo ha detto...

Em... scusate, mi inserisco. La discussione è interessante, ma arrivo un po' tardi, perciò mi allaccerò agli ultimi commenti. Non ho capito il senso della parentesi dopo "scimmie" (apes), ma comunque... E neanche ho capito il discorso di Jinzo. Prima consiglia un libro senza argomentare, poi evoca pratiche fantascientifiche e infine puntualizza sul linguaggio delle scimmie con un discorso totalmente irrilevante. A me pare che abbia ragione GMR, che ha argomentato in maniera splendida. Pietro e Jinzo, al contrario, si sono sforzati di mascherare malamente il loro riduzionismo materialista chiamando in causa addirittura pratiche da film fantascientifico (ma cosa vuoi fare, frankenstein??). La scienza ammetta che non sa NIENTE di cosa sia o di come funzioni la mente. Lasciamo stare, poi, Searle, che con la sua teoria delle proprietà emergenti confonde l'insieme con l'intero, come quando afferma che la pressione in una bottiglia è una proprietà emergente della spinta delle molecole che compongono il liquido al suo interno. Invece essa è una semplice SOMMA di spinte, perciò di che cavolo parla Searle? Vuole forse dirci che una semplice somma dà un intero, inteso in senso olistico? E non è riduzionismo della peggior specie questo???
X Francesco: sull'epigenetica hai ragione al 100%. Ma non hai scoperto niente di nuovo, sai. Questi personaggi si nascondono dietro un dito.

pietro ha detto...

Dopo quest'ultimo commento mi sono reso conto che è inutile continuare, la differenza tra dire che la scienza non è ancora riuscita a spiegare la coscienza, e dire che "non sa NIENTE di cosa sia o di come funzioni la mente" è la stessa che c'è tra il Cardinale Bellarmino e un talebano.
Se il mio è riduzionismo materialista l'alternativa qual'è?
Nessuno dice che la mente e la coscienza siano "materia", ma che siano caratteristiche di una cosa "il sistema nervoso" che effettivamente è composto esclusivamente di materia, e che siano frutto di processi in cui sono coinvolte esclusivamente entità materiali è un idea che può essere confutata, ma negarla semplicemente per principio e non essere in grado di offrire un idea alternativa non lo chiamerei argomentare.
argomentare a casa mia significa avere un idea e presentare gli argomenti a favore di questa idea, non limitarsi a cercare di demolire le opinioni sgradite.

Anonimo ha detto...

Talebano sarai tu, perché come ha detto GMR anche la scienza, per come la intendi tu, è un dogma, una religione. Cosa ti dice che essa sia lo strumento giusto per indagare tutto l'universo? Ti sei forse perso gli ultimi 100 anni di riflessioni epistemologiche? Degli argomenti che stiamo affrontando ne sapevano di più i greci in epoca prescientifica che gli scienziati moderni. Sei tu il dogmatico, sei tu che sei sicuro che potenzialmente la scienza possa arrivare a spiegare tutto. L'alternativa, caro Pietro, c'è eccome: l'accettazione che la nostra conoscenza si può spingere solo fino ad un certo punto. Questo non è essere talebani, è il contrario.

Anonimo ha detto...

Queste discussioni finiscono sempre in rissa. Mah...

pietro ha detto...

Non esistono dogmi nella scienza.
Senza dubbio la scienza potrà spingersi solo fino ad un certo punto, e non potrà mai spiegare tutto, ma questi limiti non li decidono nè i filosofi, nè i preti.
Anche perchè la storia della scienza è fatta di continui superamenti di limiti che erano ritenuti insuperabili da qualche fanatico, e questo non ha distrutto l'umanità, anzi le ha permesso una qualità dalla vita che i Greci "che avevano capito tutto" non si sognavano neanche.
IO ho solo chiesto di argomentare le vostre posizioni.
Ho ripetutamente chiesto: se la mente non ha origine dalla materia, come le apparenze e tutta la ricerca fatta finora sembrano indicare, da dove ha origine?
SE alla scienza deve essere impedito (magari con apposite leggi e sanzioni penali)indagare oltre certi limiti chi lo decide?
Il Papa?
Il capo del governo?
I filosofi?
IO immagino che ci siano dei limiti, ma penso che questi non siano ancora stati identificati, mentre ho l'impressione che per molti l'aratro abbia già tracciato il solco, spero solo che non arrivi anche la spada per difenderlo.

Anonimo ha detto...

Però tu citi Bellarmino, e lui diceva quello che affermiamo noi, cioè semplicemente la vecchia idea aristotelica che la scienza sia semplicemente una tecnica, un medoto che necessita dell'indirizzo e del controllo della filosofia.

Dire che i limiti della scienza li decide la scienza stessa, e che invece la filosofia non ha il diritto di metterci bocca è assurdo.

Poi ti pregherei di non trattarci da talebani, perchè sei in un blog che ti ospita ed ha come regola quella di non censurare nessuno, non approfittarne.

La scienza HA dei limiti, limiti che nè noi nè la Chiesa vogliamo STABILIRE. Cerchiamo solo di indagarli, di stanarli con il ragionamento.

La battuta di Log sugli antichi greci da questo punto di vista è pregnante, perchè in ambito gnoseologico oggi non siamo più avanti di loro, e questo la dice lunga sull'attitudine della scienza a dare risposta alle più importanti domande dell'universo.

Tu dici bene, essa ci ha dato un alto standard di vita, ma questo non c'entra nulla con la ricerca della Verità!

La scienza crea MODELLI COERENTI, non VERI. Inoltre, il suo metodo è inadatto a studiare tutto ciò che non si presta ad essere ridotto in schemi formali, come appunto l'intelligenza umana. Questo non lo diciamo noi talebani e cattolici fondamentalisti (la cosa mi fa anche un po' ridere, perchè chi mi conosce sa che non ho un facile rapporto con la Chiesa) ma lo dicono gli stessi scienziati post-moderni!

Anonimo ha detto...

La partita tra Hal e l'astronauta si ispira ad una partita realmente giocata nel 1910 tra due Maestri tedeschi Roesch e Schlage partita spagnola variante Worrall.
[Event "Hamburg"]
[Site "Hamburg"]
[Date "1910.??.??"]
[EventDate "?"]
[Round "?"]
[Result "0-1"]
[White "Roesch"]
[Black "Willi Schlage"]
[ECO "C77"]
[WhiteElo "?"]
[BlackElo "?"]
[PlyCount "36"]

1.e4 e5 2.Nf3 Nc6 3.Bb5 a6 4.Ba4 Nf6 5.Qe2 b5 6.Bb3 Be7 7.c3
O-O 8.O-O d5 (una idea ch Marshall riprenderà 8 anni dopo in una famosa partita contro Capablanca) 9.exd5 Nxd5 10.Nxe5 Nf4 11.Qe4 Nxe5 12.Qxa8 Qd3
13.Bd1 Bh3 {The position after 13...Bh3, and the ones that
follow, were used in Stanley Kubrick's movie "2001: A Space
Odyssey" for the game between Frank Poole and the HAL-9000
computer.} 14.Qxa6 Bxg2 15.Re1 Qf3 0-1 il Bianco abandona perché se l'Alfiere cattura la Donna Cxf3 #

Sulla questione Kasparov Deep Blue, c'è chi sostiene che Kasparov ha perso volontariamente per volontà degli sponsor.
Nelle partite molti hanno dubitato della correttezza di alcune mosse di Kasparov (in quel periodo era semplicemente imbattibile).

Jazztrain

Anonimo ha detto...

Vero. Soprattutto l'ultima partita kasparov l'ha giocata proprio in modo assurdo... Io sono quasi convinto che ci sia qualcosa che non sappiamo. Anche perché non c'è mai stata rivincita!


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