mercoledì 21 gennaio 2009

A. DE TOCQUEVILLE, IL PRECOGNITIVO


Il brano che segue è tratto da A. de Tocqueville, "La democrazia in America" (Libro terzo, Parte IV, capitolo sesto, ed. BUR). Ve lo proponiamo perchè, a nostro avviso, rappresenta uno dei pezzi più alti del pensiero del grande giurista francese. In esso, come leggerete, Tocqueville preconizza una pericolosissima degenerazione delle democrazie moderne verso una forma subdola e potente di tirannide, anche se con connotati molto diversi da quelli conosciuti nell'antichità. Giudicate voi oggi, più di centocinquant'anni dopo la pubblicazione dell'opera in questione, se Tocqueville aveva visto giusto.

"Durante il mio soggiorno negli Stati Uniti avevo notato che uno Stato sociale democratico simile a quello degli americani può offrire una facilità singolare allo stabilirsi del dispotismo; al mio ritorno in Europa vidi che quasi tutti i nostri sovrani si erano già serviti delle idee, dei sentimenti e dei bisogni che questo stesso Stato sociale fa nascere per estendere la cerchia del loro potere.

Ciò mi indusse a credere che le nazioni cristiane finiranno forse per sentire un'oppressione simile a quella che un tempo pesò su molti popoli dell'antichità. Un esame più particolareggiato dell'argomento e cinque anni di nuove meditazioni non hanno diminuito i miei timori, ma ne hanno cambiato l'oggetto.

Nei secoli passati non si è mai visto un sovrano tanto assoluto e potente che abbia voluto amministrare da solo, senza l'aiuto di poteri secondari, tutte le parti di un grande impero, né che abbia tentato di assoggettare indistintamente tutti i suoi sudditi ai particolari di una regola uniforme e che sia disceso a fianco di ognuno di essi per reggerlo e guidarlo. [...] Gli imperatori possedevano, è vero, un potere immenso e senza contrappesi, che permetteva loro di abbandonarsi liberamente qualsiasi stranezza e di soddisfarla con la forza intera dello Stato; così accadeva spesso che abusassero di questo potere per togliere arbitrariamente a un cittadino i beni o la vita; ma la loro tirannide, pur gravando straordinariamente su qualcuno, non si estendeva sulla maggioranza; essa si fissava su alcuni oggetti principali e trascurava resto: era nello stesso tempo violenta e ristretta.

È probabile che il dispotismo, se riuscissi a stabilirsi presso le nazioni democratiche del nostro tempo, avrebbe un altro carattere: sarebbe più esteso e più mite e dei gradirebbe gli uomini senza tormentarli. [...] I governi democratici possono diventare violenti e anche crudeli in certi momenti di grande effervescenza e di pericolo, ma queste crisi saranno rare e passeggere. Quando penso alle piccole passioni degli uomini del nostro tempo, alla mollezza dei loro costumi, all'estensione della loro cultura, alla mitezza della loro morale, alla purezza della loro religione, alle loro abitudini laboriose e ordinate, alla moderazione che quasi tutti conservano inel vizio come nella virtù, non temo che troveranno fra i loro capi dei tiranni, ma piuttosto dei tutori. [...]

Se cerco di immaginarmi nuovo aspetto che il dispotismo potrà avere nel mondo, vedo una folla innumerevole di uomini eguali, intenti solo procurarsi piaceri piccoli e volgari, con i quali soddisfare i loro desideri. Ognuno di essi, tenendosi da parte, è quasi estraneo al destino di tutti gli altri: i suoi figli e i suoi amici formano per lui tutta la specie umana; quanto al rimanente dei suoi concittadini, e gli è vicino ad essi, ma non li vede; li tocca ma non li sente affatto; vive in se stesso è per se stesso e, se gli resta ancora una famiglia si può dire che non ha più patria.

Al di sopra di essi si eleva un potere immenso e tutelare, che solo si incarica di assicurare i loro beni e di vegliare sulla loro sorte. È assoluto, particolareggiato, regolare, previdente e mite. Rassomiglierebbe all'autorità paterna se, come essa, avesse lo scopo di preparare gli uomini alla virilità, mentre cerca invece di fissarli irrevocabilmente nell'infanzia, ama che i cittadini si divertano, purché non pensino che a divertirsi. Lavora volentieri al loro benessere, ma vuole esserne l'unico agente e regolatore; provvede alla loro sicurezza e ad assicurare i loro bisogni, facilita i loro piaceri, tratta i loro principali affari, dirige le loro industrie, regola le loro successioni, divide le loro eredità; non potrebbe esso togliere interamente loro la fatica di pensare e la pena di vivere?

Così ogni giorno esso rende meno necessario e più raro l'uso del libero arbitrio, restringe l'azione della volontà in un più piccolo spazio e toglie a poco a poco a ogni cittadino perfino l'uso di se stesso. L'eguaglianza ha preparato gli uomini a tutte queste cose, li disposti a sopportarle e spesso anche considerarle come un beneficio.

Così, dopo aver preso a volta a volta nelle sue mani potenti ogni individuo ed averlo plasmato suo modo, il sovrano estende il suo braccio sull'intera società; ne copre la superficie con una rete di piccole regole complicate, minuziose ed uniformi, attraverso le quali anche gli spiriti più originali e vigorosi non saprebbero come mettersi in luce e sollevarsi sopra la massa; esso non spezza le volontà, ma le infiacchisce, le piega e le dirige; raramente costringe ad agire ma si sforza continuamente di impedire che si agisca; non distrugge, ma impedisce di creare; non tiranneggia direttamente, ma ostacola, comprime, snerva, estingue, riducendo infine la nazione a non essere altro che una mandria di animali timidi ed industriosi, nella quale il governo è il pastore. Ho sempre creduto che questa specie di servitù regolata e tranquilla, che ho descritto, possa combinarsi meglio di quanto si immagini con qualcuna delle forme esteriori della libertà e che non sia impossibileche essa si stabilisca anche all'ombra della sovranità del popolo."

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Faccio una piccola correzione. Il brano è tratto dal Libro Terzo, Parte IV, capitolo sesto dell'edizione BUR, da quel che mi risulta.
Esite poi un'edizione UTET in cui la suddivisione dei libri differisce da quella dell’edizione BUR: i primi due libri sono ricompresi in un unico primo libro, diviso in due parti; e il secondo libro corrisponde al terzo libro dell’edizione BUR. L'edizione UTET rispecchia una versione on line in francese che potete trovare qui:
http://fr.wikisource.org/wiki/De_la_d%C3%A9mocratie_en_Am%C3%A9rique

Il Libro III dell'edizione BUR (o il Libro II dell'edizione UTET) è la seconda parte dell'opera uscita nel 1840, a cinque anni dalla pubblicazione della prima e famosa parte. Purtroppo è spesso trascurata. Del tutto a torto perché costituisce una miniera di osservazioni geniali.

Avevo in mente anche queste osservazioni di Tocqueville quando nel mio blog ho scritto questo:

"L’universalismo dei diritti, implicito nella democrazia, ha il suo rovescio della medaglia: che lo stato diventa garante dei diritti di qualsiasi individuo, e come minimo ha l’effetto che la burocrazia raggiunge implacabilmente e senza intermediari il singolo. Quindi maneggiata ad arte tutta questa impalcatura giuridica con le sue capillari diramazioni diventa un formidabile mezzo di controllo collettivo. E’ per questo che Tocqueville diceva che in tempi di democrazia, cioè di uguaglianza delle condizioni, il dispotismo poteva raggiungere la sua perfezione. In tempi di aristocrazia questo non poteva succedere, però è ovvio che agli ultimi gradini della scala sociale, nei buchi neri dove lo stato non arrivava e che per altri magari significavano una grande libertà, l’individuo poteva essere oggetto di arbitri inimmaginabili. Laddove il regime aristocratico si è via via naturalmente stemperato fino a sciogliersi in una democrazia (come in Gran Bretagna, dove non a caso esiste ancora la monarchia) questo non ha portato a restrizioni nella libertà individuale, pur in una dinamica di continuo sviluppo della fibrosi statale, mentre nei paesi del continente è altrettanto chiaro che i rivoluzionari democratici nella uguaglianza delle condizioni vedevano soprattutto il mezzo formidabile per ridurre ad una schiavitù uniforme gli individui, ridurre cioè un popolo ad una massa."

Anonimo ha detto...

Avevo fatto confusione io leggendo l'indice, perchè mi ero dimenticato che il volume è diviso anche in "libri". Ora ho corretto, grazie della precisazione.

Anonimo ha detto...

La suddivisione è un po' bizzarra. I primi due libri in capitoli, il terzo in parti e in capitoli, per restare all'edizione BUR. Una volta mi sono sbagliato anch'io, e allora ho voluto vederci chiaro, sennò col piffero che mi accorgevo dell'errore...

Anonimo ha detto...

Infatti vedo che sei esperto... il che è stato un vero peccato, per Malvino :-P


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