sabato 24 gennaio 2009

L'ALTERNATIVA ALLA CRISI? LA LIBERTA' E' POSSIBILISMO

Su tutti i maggiori (e minori) organi di informazione, si discute e si cercano soluzioni alla crisi in corso dell’economia. L’analisi di questa crisi ad alcuni sembrerà banale, ad altri complicata, altri ancora pensano, addirittura, che con essa si sia compiuto il primo passo verso la fine del capitalismo. Da tutte le parti, infatti, sento alzare la stessa medesima voce: questa crisi è colpa del mercato.

Ecco, proprio questo è ciò che voglio smentire: il mercato non è in fallimento per il semplice motivo che esso non esiste, e questa crisi dovrebbe anzi dimostrare, specialmente a noi anarchici, che il vero problema dell'economia è la presenza dello stato, delle sue manie centralistiche e del socialismo assistenzialista che tutti, spesso anche i più liberali (dimostrando in realtà quanto essi non lo siano) chiedono e invocano. Ovunque la stessa voce: Aiuto dallo Stato.

Chi dice di non essere dalla parte dei governi e poi invoca lo Stato Salvatore dovrebbe capire cosa veramente stia accadendo. Lo Stato, fautore di tutti i mali, non è mai oggetto di discussione, e anzi perfino molti sedicenti anarchici ne richiedono la protezione; ma un anarchico che invoca lo Stato tutt’è tranne che anarchico.

La parola proibita di questi mesi è divenuta "Mercato"; ma siamo almeno consapevoli che il mercato esistente non è il mercato su cui sui basavano le teorie di Adam Smith e dei liberali classici, cioè la libertà dell’individuo e del suo lavoro dal controllo delle istituzioni autoritarie, e lotta alla divisione rigida del lavoro? Il nostro è un capitalismo (perché quello che è in fallimento è il capitalismo non il mercato) che vive di dazi, cartelli, trattati commerciali antiliberali (come stesso Chomsky ci dice riguardo al Nafta o agli accordi commerciali monopolistici Usa con il Messico). E questi accordi fatti tra gli stati sono tutto ciò che si possa considerare di non liberale.

Appena si tratta di trovare un’alternativa, il mondo anarchico sembra non sapere di cosa trattare, finendo a discutere di progetti che non sono altro che inapplicabili, e pure per amore della libertà mi sembra necessaria una ripresa del pensiero economico di Camillo Berneri e del possibilismo che auspicava: se la critica allo Stato e la negazione del principio di autorità sono mete irrinunciabili, la forma economica anarchica deve rimanere aperta, e si deve sperimentare la libera concorrenza tra lavoro e commercio individuale e lavoro e commercio collettivista. La collettivizzazione coatta è da condannare se frutto dell'imposizione e non della libera scelta: l'anarchia non deve portare ad una società dell'armonia assoluta, ma alla società della tolleranza.

Queste sembrano le parole più adatte per pensare ad un’alternativa seria al capitalismo statalista dannoso di oggi, creare competizione tra lavoro collettivizzato e libero mercato(quello puro, senza regole ed imposizioni) in una società volontaristica e libera, sogno di noi anarchici. Il movimento anarchico oggi come sempre deve continuare a criticare e a combattere lo Stato, non il mercato, perché ciò che è dannoso è frutto sempre delle scelte stataliste.

20 commenti:

Anonimo ha detto...

Ci sono persone che si dicono "anarchiche" e poi invocano l'intervento dello Stato? Chi sono? E' vero che qualche sedicente liberale ha ceduto alla tentazione, ma di anarchici che abbiano fatto la stessa cosa non ne conosco. Sarebbe il colmo.

Ti lancio però una provocazione: davvero consideri "illiberali" i cartelli tra imprese ?

Domenico Letizia ha detto...

il primo è proprio chomsky, se vogliamo essere seri e infatti Larry gambone scrisse un bell'articolo, dove invoca se non sbaglio di non far divenire l'anarchia una sorta di marxismo senza marx...
di liberali beh li c'è da fare un bell'elenco il più strabiliante è Capezzone in persona (si definisce un libertarian e poi giustifica quella madornale stron...ta su alitalia).
per qunto riguarda i cartelli,
Schumpeter chiamò "il capitalismo monopolizzato dipendente dell'esportazione". Questo termine si riferisce ad un sistema economico nel quale l'industria con cartelli è protetta dietro barriere doganali; vende i suoi prodotti all'interno del paese per un prezzo da monopolio considerevolmente più alto di un mercato senza interventi, per ottenere superbenefici a costo del consumatore; e liquida all'estero la sua produzione invendibile, vendendolo sotto costo quando se ne presenta la necessità.
Mises, nell'Azione Umana, descrisse la dipendenza dei cartelli delle barriere doganali, soprattutto agendo congiuntamente con altri monopoli mantenuti dallo Stato come ad esempio i brevetti.
Ovviamente, con la sua enfasi abituale "a beneficio dei commerci", Mises trattò delle grandi compagnie industriali, come i beneficiari passivi di una politica statale protezionista diretta principalmente all'aumento dei salari lavorativi. La sua opinione è simile a quella dei primi industriali capitalisti
Secondo l'opinione di Kolko nel ''Trionfo del Conservatorismo'', i grandi monopoli all'inizio del secolo XX furono capaci di mantenere la loro quota di mercato contro imprese più piccole e più efficienti. La stabilizzazione della maggior parte delle industrie su un modello di oligarchia economica politica era possibile, alla fine, solo con l'aiuto addizionale delle regolamentazioni anticompetitive.
anche un mutualista come kevin carson descrive bene ciò che è ''cartello''

Anonimo ha detto...

Infatti. I cartelli non devono essere considerati automaticamente "illiberali", come fanno molti. Essi devono essere condannati soltanto quando sono il frutto di una distorsione del mercato, e non quando sono un risultato spontaneo del mercato stesso.

Una curiosità: perchè ti definisci "left-libertarian"?

Domenico Letizia ha detto...

perchè mi rifaccio alle tradizione politica del liberalismo delle origini, alle autonomie, alla tradizione delle comunità locali, al volontarsismo federatvo, alla decentralizzazione, al possibilismo economico, e alla lotta allo stato e alle sue forme di potere. questa è in teoria. praticamente guarda con piacere all'alliance of left-libertarian che vorrei sviluppare e ci provo anche in italia: http://all-left.net/

Domenico Letizia ha detto...

I cartelli non devono essere considerati automaticamente "illiberali", come fanno molti. Essi devono essere condannati soltanto quando sono il frutto di una distorsione del mercato

ma questo capita in un sistema perfetto di mercato, il bello di kevin carson è di aver dimostrato di come i cartelli siano irregolare proprio perchè ad intervenire è lo stato non il mercato, insmomma i cartelli sono creati dallo stato ecco perchè sono un danno certamente non per la classe economica parassitaria che di questi cartelli ne vive e ne è contenta.
l'esempio emblematico su tutti secondo me è l'OPEC.

Anonimo ha detto...

Che vi facciate chiamare "anarchici" mi è sempre sembrata un'offesa verso la tradizione anarchica vera, seppur per sua natura eterogenea. Questo contribuisce a creare ancora più confusione intorno all'anarchismo.

Questa idea del mercato, che come la mafia "non c'è", è tanto bizzarra, quanto nelle sue conseguenze, immorale (vedi, ad esempio questa discussione sui cartelli che se scaturiti naturalmente dal mercato sarebbero "buoni", seppur pongono in essere, di per se stessi, procedure "illiberali" ed intrinsecamente autoritarie).

Fate, sempre a mio parere, parecchia confusione con i concetti di libertà, autorità e quant'altro.

Diceva bene Bakunin: "La libertà senza socialismo è privilegio e ingiustizia; il socialismo senza libertà è schiavitù e barbarie".

E diceva bene pure Adam Smith, a proposito dei capitalisti: "Il desiderio più o meno nascosto è quello di rimanere soli nel mercato, per poter esercitare un potere monopolistico".

E', ripeto, bizzarro come non consideriate il fatto che anche in un purissimo libero mercato, ovvero senza stato accentratore, ci saranno sempre uomini con i loro interessi e con l'unico obiettivo, come avviene ora, di accumulare capitale e con il desiderio di fare cartelli e di diventare totalitari nella propria area di mercato.

Il potere autoritario e gerarchico passerà semplicemente dalle mani dei burocrati politici a quelli dei più ricchi che darwinianamente, secondo l'ottica "anarco-capitalista", meriteranno di prevalere sugli altri.

Facendovi chiamare "anarchici", offendete gli anarchici veri che sono morti per gli ideali dell'Anarchia.

Saluti.

Anonimo ha detto...

La questione è, in realtà, un po' più complessa di come l'hai riassunta tu, caro Antonio.

Innanzi tutto, mi sembra una operazione oziosa quella di cercare di decretare quale sia la tradizione anarchica "vera", distinguendola da quelle presuntamente "abusive". Semplicemente, è chiaro che in questo caso, come in molti altri, ci sono individui che usano lo stesso termine con un'accezione diversa (capita la stessa cosa anche con "liberalismo", "giustizia", "uguaglianza" e con una miriade di altri concetti) e non è il caso che alcuni si offendano per una tale circostanza.

Venendo, poi, al merito della preoccupazione "Marxiana" riguardo al pericolo che i capitalisti possano usare il loro potere anche fuori dall'ambito economico per perpetrare chissà quale tipo di ingiustizie, mi limito a ricordare che anche gli anarco-capitalisti hanno sempre sostenuto l'esigenza di un sistema sociale/statuale per neutralizzare i comportamenti criminali. Gli austriaci erano infatti sostenitori di uno "stato minimo", con competenze soprattutto di Diritto penale, non di un "darwinismo" selvaggio.

Sull'altra questione, meramente economica, dei comportamenti anticoncorrenziali, si potrebbe discutere a lungo. Anche io, del resto, fino a qualche tempo fa tendevo a considerare i trust un problema tale da richiedere l'intervento dello Stato, ma ho mutato opinione dopo avere letto alcuni paper dell'IBL che mi hanno fatto capire che nel mercato esistono già gli anticorpi capaci di neutralizzare comportamenti eccessivamente dannosi per i consumatori.

In particolare, ho capito che la concorrenza non richiede necessariamente la presenza di più agenti economici, ma basta che il mercato sia aperto all'entrata anche solo eventuale di nuovi concorrenti. In tal modo chi già offre un prodotto non può aumentare a piacimento i propri profitti, anche se al momento è monopolista, perchè se lo fa altri imprenditori potrebbero invadere quel settore, attratti dal margine di profitto molto alto. E' il caso, ad esempio, del Windows: venduto in condizioni di monopolio, non si spiega come possa costare solo 90 euro, stando alla teoria dei monopoli. E invece se abbracciamo la teoria austriaca si spiega benissimo: ora Microsoft non è "attaccata" da altri concorrenti direttamente nel settore dei sistemi operativi per PC, ma se alzasse il prezzo del windows i consumatori cercherebbero un'alternativa, e ci sarebbe senz'altro qualcuno pronto a fornirla attratto dalla possibilità di fare enormi profitti in un settore in cui i prezzi fossero molto alti (ad esempio Apple).

Due aziende che decidano di fondersi o di fare cartello sono, con queste premesse, libere di farlo in quanto ciò è parte di una loro strategia imprenditoriale (probabilmente perchè reputano che il margine di profitto sia troppo basso per farsi concorrenza). Il prezzo che, a quel punto, decideranno di stabilire per la loro merce sarà certamente più alto di prima, ma solo perchè (e se) prima era troppo basso. Al contrario, se il cartello servisse soltanto per aumentare profitti già molto alti, durerebbe poco: altri imprenditori invaderebbero presto quel mercato, oppure (caso già verificatosi molte volte nella storia economica) potrebbero essere gli stessi manager dell'azienda esistente ad uscirne per creare una ditta concorrente attraverso l'esperienza maturata e i capitali della liquidazione della quota (o delle azioni).

A fronte di questo dinamismo delle forze di mercato, l'azione di un antitrust appare un po' patetica, e spesso assurda: come può infatti un organismo politico capire quale sia il "giusto" prezzo di un bene?

Domenico Letizia ha detto...

quoto francesco,
carissimo antonio ti vorrei far notare che io non ci guadagno niente ad essere definito anarchico.
vorrei solo ricordarti che l'anarchismo come lo stesso bakunin sosteneva guardava con orgoglio il liberalismo delle origini.
e io mi rifaccio chiaramente al possibilismo di camillo berneri, che anarchico lo era al 100% (ammazzato dai comunisti non dimentichiamolo!!)
per quanto riguarda l' anarchismo t'invito a leggere di Benjamin Tucher e dell'individualismo anarchico americano ( Spooner, Voltairine De Cleyre ecc..) si rifacevano chiaramente al liberalismo delle origini che come ripeto è il libero mercato non il capitalismo statalista come lo conosci oggi.
da'latronte non c'è niente di più significativo di questo articolo del libertarian Karl Hess:

(spero facca riflettere)

C’è solo un tipo di anarchico. Non due. Solo uno. Un anarchico, di quell’unico genere, è definito dalla letteratura e dalla lunga tradizione della posizione stessa, ed è un individuo che si oppone all’autorità imposta attraverso il potere gerarchico dello stato. L’unico ampliamento a questa definizione che mi sembri ragionevole è dire che un anarchico si sollevi contro ogni autorità imposta. Un anarchico è un volontarista.
Ora, oltre a questo, gli anarchici sono persone e, come tali, contengono le mille sfaccettature della personalità umana. Alcuni anarchici marciano, volontariamente, sotto la croce di Cristo. Alcuni si affollano, volontariamente, intorno ad altre figure che amano e che sono fonte di ispirazione. Alcuni vogliono fondare delle cooperative industriali volontarie. Alcuni cercano di stabilire volontariamente la produzione agricola all’interno di kibbutz. Alcuni vogliono, volontariamente, estraniarsi da tutto, compresi tutti i loro rapporti con altre persone; gli eremiti. Alcuni anarchici hanno deciso volontariamente, di accettare solo oro come pagamento, di non coopererare mai. Alcuni anarchici, volontariamente, adorano il sole e la sua energia, costruiscono cupole, mangiano solo vegetali e suonano il salterio. Alcuni anarchici adorano il potere degli algoritmi, giocano a giochi strani e si infiltrano in strani templi. Alcuni anarchici vedono solo le stelle. Alcuni anarchici vedono solo il fango.

Spuntano da un solo seme, non importa come fioriscano le loro idee. Il seme è la libertà. E questo è tutto. Non è un seme socialista. Non è un seme capitalista. Non è un seme mistico. Non è un seme determinista. E’ semplicemente una dichiarazione. Noi possiamo essere liberi. Quello che viene dopo sono tutte scelte e probabilità.

L’anarchia, la libertà, non ci dice come le persone libere si comporteranno o in quali modi si organizzeranno. Ci dice semplicemente che le persone hanno la capacità di organizzarsi.
L’anarchismo non è normativo. Non dice come essere liberi. Dice solo che la assenza di imposizioni, la libertà, può esistere.
Recentemente, in un giornale libertario, ho letto l’affermazione per cui il libertarismo sia un movimento ideologico. Può ben esserlo. In un contesto di libertà loro, tu, o noi, ognuno, ha la libertà di sostenere l’ideologia o qualsiasi altra cosa che non costringa altri a privarsi della loro libertà. Ma l’anarchismo non è un movimento ideologico. E’ una dichiarazione ideologica. Sostiene che tutti gli individui abbiano la capacità di essere liberi. Dice che tutti gli anarchici vogliono la libertà. Poi tace. Dopo questa pausa di silenzio, gli anarchici aggiungono la storia dei loro gruppi e proclamano come loro, non come anarchiche, le ideologie. Loro sanno come sarà, in quanto anarchici, sanno come ci si organizzerà, descrivono eventi, celebrano la vita e il lavoro futuri.

L’anarchismo è l’idea-martello che spezza le catene. La libertà è il risultato e, in libertà, tutto è fine alle persone e alle loro ideologie. Non è fine All' ideologia. L’anarchismo dice, in effetti, che non c’è una ideologia superiore o dominante. Sostiene che le persone che vivono nella libertà creino le loro storie e i loro stipulino accordi con e all’interno di essa.

Una persona che descrive un mondo in cui tutti devono o dovrebbero comportarsi, marciando al tempo di un tamburo semplicemente non è un anarchico. Una persona che dice di preferire un certo modo, e si augura che anche gli altri decidano di seguirlo, ma che comunque è convinta spetti a loro decidere, può certamente essere un anarchico e probabilmente lo è.
La libertà è la libertà. L’anarchismo è l’anarchismo. Non formaggio svizzero o chissà cos’altro. Non è proprietà. Non è coperto dal copyright. Sono vecchie idee rivolte a tutti che fanno parte della cultura umana. Possono essere scritte con tanti aggettivi dopo il trattino ma non sono nei fatti emendate. Esistono da sole. La gente ci aggiunge trattini ed ideologie supplementari.
La libertà, infine non è uno spazio in cui gli individui possono vivere. Non gli dice come vivranno. Dice, e dirà in eterno, solo quello che noi possiamo.

invito antonio anche a visitare il mio blog per eventuali chiarimenti, ma ti assicuro non offendiamo nessun anarchico i socialisti si, ma gli anarchici collettivisti no e lo stanno capendo anche loro.

Domenico Letizia ha detto...

mi limito a ricordare che anche gli anarco-capitalisti hanno sempre sostenuto l'esigenza di un sistema sociale/statuale per neutralizzare i comportamenti criminali. Gli austriaci erano infatti sostenitori di uno "stato minimo", con competenze soprattutto di Diritto penale, non di un "darwinismo" selvaggio.




questo è quello a cui si rifà il minarchismo e l'oggettivismo.
noi anarchici ci battiamo per una società competamente senza stato.
bello leggere questo:
http://luigicorvaglia.blogspot.com/2008/09/dieci-obiezioni-ad-una-societ-senza.html

Anonimo ha detto...

Attenzione, io non ho detto che l'”anarco-capitalismo” non sia argomentabile o giustificabile in qualche modo. Ho solo detto che, a mio parere, le rassomiglianze con l'anarchismo siano solo “linguistiche”.

L'Anarchia non è semplicemente organizzazione senza stato, ma perenne lotta contro ogni forma di autorità dovunque si presenti ed in qualunque forma. E' lotta contro il concetto di forze dell'ordine, è lotta contro l'istituzione carceraria, è lotta contro la legislazione positiva che deresponsabilizza l'uomo, è lotta contro ogni forma di rappresentanza attuale che tende per sua natura ad incacrenirsi e non solo a svolgere il suo ruolo.

Anarchia è un sistema di valori basato su:

-libertà (è immorale ogni tipo di costrizione dell'uomo su un altro uomo)
-uguaglianza (tutti gli individui nascono uguali e devono poter aver uguali possibilità di sviluppare il proprio potenziale ed il proprio essere)
-solidarismo (se un solo individuo sta male a causa della società tutta la società sta male e deve adoperarsi)
-identificazione tra mezzi e fini (non si può giungere ad ottenere qualcosa, il fine dell'anarchia, andando contro questi principi stessi, non si può ottenere la libertà passando per lo sfruttamento, vedi dittatura del proletariato oppure per "stati minimi";
-educazione al fine di far comprendere e diffondere questi valori, dunque lo sviluppo di uomini con una mentalità nuova, che contraggono rapporti nuovi, autonomi, poiché la libertà parte dall'individuo non dalla semplice abolizione dello stato, altrimenti questo si ripresenterà sotto altre forme.


Per cui il concetto di “stato minimo” da difendere con la polizia, proposto da alcuni “libertari di destra”, per quanto, ripeto, possa essere argomentato, non è anarchia, è semplicemente altro! Io se avessi il potere economico potrei fondare un mio mini-stato e così tanti altri, tutti difesi dalla polizia e si ritornerebbe punto e daccapo. Se qualche anarchico tende a giustificare questo concetto non ha compreso granché dell'anarchismo, che poi è chiaro in ogni persona tende a declinarsi in modo differente, ma fondandosi sempre su quei saldi ed irrinunciabili principi.

Così è per quanto riguarda il pezzo di tale Karl Hess: ad un certo punto dice: [l'anarchico] “è un individuo che si oppone all’autorità imposta attraverso il potere gerarchico dello stato. L’unico ampliamento a questa definizione che mi sembri ragionevole è dire che un anarchico si sollevi contro ogni autorità imposta."

Ah, fortuna quell'ampliamento!! Ma non è un semplicemente ampliamento, una semplice concessione, è il carattere stesso dell'anarchia! Che, ripeto, non è una semplice e mera opposizione allo stato! Il fatto, perciò, di considerare la lotta ad ogni autorità come un'appendice evidenzia quanto questa persona non possa appartenere alla tradizione anarchica (anche se poi nell'articolo si riprende un po').

Con questo ci tengo a precisare che l'anarchismo non è una bandiera, ma la sperimentazione continua ed il rinnovamento dell'organizzazione che un certo gruppo decide di darsi, con la consapevolezza che non esiste un “unico modo”, una unica ideologia che ci proviene dalla storia.

Dunque l'anarchismo vorrebbe una, tante organizzazioni basate su quei principi; ci sono progetti di società che riguardano, hanno idee nuove a proposito di istruzione, educazione, cose in cui gli anarchici sono molto attivi; perciò non si può dire cosa una “società anarchica” sarebbe, ma sicuramente è possibile dire cosa non sarebbe. Ed uno stato minimo, con polizia, legislazione e quant'altro per difendere l'accumulo di capitale, e perciò di potere ed autorità, non è anarchismo, è altro.

Nell'anarco-capitalismo non c'è progettualità, non c'è analisi dell'uomo, dell'istruzione, dell'educazione, delle cause che lo costringono; sembra solo vi sia la balzana idea che eliminando lo stato avvenga per magia che gli uomini possano contrarre rapporti liberi, non autoritari, non gerarchici, autonomi.

Ma se liberi degli uomini non autonomi che non conoscono e sono educati alla libertà, passeranno semplicemente da un dominio, quello politico, ad un altro, quello delle oligarchie economiche, in un modo veramente molto veloce!

Io, come Noam Chomsky ad esempio, vedo nell'arco-capitalismo un immorale tentativo del potere, che sbandierando la parola “libertà”, tenta di trasformarsi e di rendersi ancora più subdolo ed affascinante.

Così mi spiego anche perché su internet stia trovando tanti proseliti, soprattutto giovani: sembra una via semplice, sembra che sia possibile mutare veramente i rapporti tra gli uomini abolendo semplicemente lo stato: oh, non c'è dubbio sia affascinante come idea, ma come hanno mostrato le dure lotte degli anarchici, questa idea è sostanzialmente falsa (i primi campi di concentramento del 900 non sono stati creati per gli ebrei, ma da Lenin per gli anarchici).

Io credo, perciò, che un anarchico debba combattere anche e soprattutto contro queste derive che tendono a fare apparire semplice un percorso complesso, poiché viviamo in queste società, educati in una certa maniera, non in società libere dove la gente sa essere autonoma.

Il tutto a mio parere, ovviamente. E personalmente non mi definisco “anarchico”, né mi riconosco sotto una bandiera o un'associazione, ma semplicemente un libero pensatore vicino alle proposte dell'anarchismo.

Saluti.

Movimento Arancione ha detto...

Ma no dai, Antonio, non puoi dire che gli anarco-capitalisti siano faciloni. Forse, un pochino lo era Rothbard, che io contesto in alcuni suoi passaggi, ma leggendo Menger, Hayek, Mises e Leoni tutto si può dire tranne che fossero dei sempliciotti. Soprattutto Hayek e Leoni erano spesso attaccati dagli altri anarchici giusnaturalisti proprio perchè non offrivano soluzioni politiche certe e determinate, ma cercavano piuttosto di studiare in che modo fosse possibile limitare al massimo la coercizione del potere fino a renderla tollerabile. E li caratterizzava appunto uno scetticismo di fondo, cioè la consapevolezza che il potere non si può mai eliminare del tutto, pena il ricadere nell'utopia: se elimini la legislazione penale e le carceri, ad esempio, c'è il forte rischio che il crimine (che è esso stesso una forma di potere) si impossessi della società. E non è facile risolvere questo problema senza lo Stato, seppur "minimo".

D'altra parte, i due studiosi da ultimo citati (e io sono d'accordo con loro) si rendevano conto che anche lo Stato minimo pone dei seri problemi a chi tiene alla propria libertà. Ad esempio: chi stabilisce cosa è penalmente rilevante? E chi le pene? E chi sceglierà i giudici? Tutte domande a cui non è facile dare risposta.

Come vedi, ci rendiamo conto benissimo dei problemi insiti nella teoria anarchico-capitalista e in quella dello stato minimo, così come se ne rendevano conto i fondatori e i maggiori teorici. Nessuno è facilone.

Anzi, se possiamo trovare un comune denominatore a tutte le teorie anarchiche è che esse sono sempre in continua evoluzione ed in continua ricerca, consapevoli che il problema del potere è il più difficile da risolvere, e non è nemmeno detto che esista davvero una soluzione...

Domenico Letizia ha detto...

antonio, ti ripeto, qui sui parla di anarchismo non di anarcocapitalismo, quello è un altro discorso.
quando ti parlo dell'ideologia anarchica individualista amerciana ti parlo della fine 800 e di certo li gli anarcocapitalisti non esistevano.
chomsky sarà pure un grande ma ha detto delle cazzate ultimamente, difendendo lo stato e l'han detto sia larry gambone che kevin carson che tutto son tranne che anarcocapitalisti.
quindi....
non facciamo divenire l'anarchia una sorta di marxismo senza marx.
l'anarchismo indica la libertà, e lsoltanto la libertà. quel giorno chi si vorrà gestire con il mercato lo farà, chi con la collettivizzazione lo farà.
basta, chiedere stato è essere statalisti, punto
poi un bell'articolo:

L’anarchismo agostiniano di Chomsky

di Roderick T. Long

Noam Chomsky è forse il più conosciuto anarchico americano. C’è una certa ironia in questo; perché, come sant’Agostino pregò una volta: “Dammi la castità e la continenza, ma non ora”, l’obiettivo di Chomsky è effettivamente l’anarchia, ma non adesso.

Il suo motivo del “non adesso” è che un forte governo centrale è attualmente necessario come baluardo contro il potere delle corporate élite; e non sarà sicuro abolirlo o ridurlo fino a che non lo avremo usato per distruggere tale potere:

A lungo termine, credo che il potere politico centralizzato dovrebbe essere abbassato, dissolto, eliminato, ed in ultima analisi ridotto al livello locale, con una sorta di federalismo, le associazioni e così via. D’altro canto, proprio ora, mi piacerebbe rafforzare il governo federale. Il motivo è che viviamo in questo mondo. E in questo mondo capita di avere enormi concentrazioni di potere privato, che sono quanto di più vicino alla tirannia e quanto di più simile al totalitarismo, che gli esseri umani abbiano mai concepito.

C’è un solo modo di difendere i diritti che sono stati conquistati, o di estenderli contro questi poteri privati, e questo è mantenere una forma di potere illegittimo che agisca più responsabilmente verso il pubblico e che il pubblico possa influenzare.

(You Say You Want a Devolution)

La nozione di Chomsky di stato come baluardo cruciale contro “la concentrazione di poteri privati” potrebbe sembrare sconcertante, visto che – come Chomsky ha confermato più volte con le sue ricerche – lo stato è storicamente il principale strumento di queste concentrazioni. Chomsky sembra dire non tanto che non agisca tuttora come un baluardo, ma piuttosto che potrebbe diventarlo; di fronte ad un avversario nettamente più forte (potere privato) armato di una spada (potere del governo), è meglio afferrarne l’arma ed usarla contro di lui, che non semplicemente distruggerla.

Perché Chomsky vede il potere dello stato meno pericoloso e più utilizzabile di quello privato? Egli sostiene:

Il governo è ben lungi dall’essere benigno – questo è vero. D’altra parte, è perlomeno in parte responsabile, e possiamo renderlo tale.

Quello che non è benigno (anzi, estremamente nocivo, in effetti) è qualcosa di cui non avete fatto menzione – il potere del business, che è altamente concentrato e, ormai, largamente transnazionale. Questo potere non opera affatto a fin di bene ed è completamente irresponsabile. Si tratta di un sistema totalitario che un enorme impatto sulla nostra vita. Ed è il principale motivo per cui il governo non è benigno.

(On gun control)

Sono due le ipotesi che voglio prendere in considerazione.

In primo luogo, Chomsky assume che l’influenza delle imprese private sul governo sia “il motivo principale per cui il governo non è benigno”. C’è ancora qualcuno che riesce a credere ad una storia del genere? Il monopolio della forza porta alla tentazione di abusarne, che questo potere venga usato all’interno o al di fuori dell’apparato statale. Se pensa che il governo sia così innocuo senza capitalisti malvagi che ne ne tirino i fili, perché vuole abolirlo nel lungo periodo?

In secondo luogo, Chomsky presume che il potere dello stato sia “in parte responsabile”, mentre quello del business sia “completamente irresponsabile”. Ora, tanto per cominciare, non sono affatto sicuro che la responsabilità del potere dello stato sia in contrasto con l’attuale stato alleato del potere economico o, al contrario, con quella del business senza l’appoggio del governo. Ma, nel primo caso, il contrasto, anche se corretto, non avrebbe fornito alcun motivo per opporsi all’abolizione dello stato: se X+Y sono più pericolosi di X da solo, non è un buon motivo per difendere X. Il contrasto è una pertinente difesa dello stato nel caso in cui il business, senza appoggio dello stato, sia ancora meno affidabile dello stato stesso. E qui appare ovvio che lo stato – anche quello democratico – sia molto meno responsabile di imprese private.

Dopotutto un mercato può ottenere il lavoro o dei beni solo con il consenso dei loro proprietari a cederli, mentre un governo può prenderli con la forza. Naturalmente è possibile tentare allontanare dai loro uffici gli attuali rappresentanti, ma è possibile farlo solo ad intervalli di diversi anni, e solo se almeno il 51% dei vicini è d’accordo a fare altrettanto; al contrario con un business è possibile terminare in qualsiasi momento la propria partecipazione, e senza il bisogno che gli altri facciano lo stesso. Inoltre ogni candidato offre un pacchetto di idee politiche, che con le imprese private è possibile scegliere: per esempio l’alimentari o il fruttivendolo A o la drogheria B.

David Friedman chiarisce questo contrasto:

Quando un consumatore acquista un prodotto sul mercato ne può confrontare marche alternative. … Quando si elegge un politico non si acquista nulla, ma si hanno solo delle promesse. … E’ possibile confrontare i modelli del 1968 della Ford, della Chrysler e della Volkswagen, ma nessuno potrà mai confrontare l’amministrazione di Nixon nel 1968 e l’amministrazione di Humphrey e di Wallace nello stesso anno. E’ come se avessimo solo delle Ford dal 1920 al 1928, delle Chrysler dal 1928 al 1936, e poi dover decidere quale marchio potrebbe produrre le auto migliori nei prossimi quattro anni. …

Non solo un consumatore ha una migliore informazione che non un elettore, ma è anche più utile a se stesso. Se confronto marche alternative di automobili … decido qual’è la migliore e la compro. Se indago sui diversi politici e sul voto, l’unica cosa che ottengo è sapere per chi vota la maggioranza.

Immaginiamo di comprare le automobili così come acquistiamo i governi. Diecimila persone che si riuniscono e decidono di votare ciascuna per l’auto che preferisce. La macchina che vince dovrà essere comprata da tutti e diecimila. Non ci ripaga affatto dell’impegno di individuare l’auto migliore; comunque io decida, la mia macchina verrà scelta per me dagli altri membri del gruppo. … Questo è come acquisto prodotti sul mercato politico. Non solo non è possibile confrontare prodotti alternativi, ma sarebbe inutile farlo, anche se potessi.

(L’ingranaggio della libertà)

Bene, sì, esattamente. Ma qual’è la base della fede di Chomsky nello stato democratico?

Potrebbe obiettare che la mia difesa della responsabilità del mercato ignora come tale “responsabilità” comporti un voto con i dollari, così che i ricchi avrebbero più voti che non i poveri – mentre nello stato democratico ciascuno ha uno stesso voto.

Ma se anche lasciassimo da parte il nesso di casualità esistente tra le disparità di ricchezza e il sistematico intervento dello stato in economia – così come il governo, che controllando risorse che non possiede, magnifica il potere dei ricchi – resta il fatto che per quanti pochi dollari si possano avere, quando si vota con essi si ottiene sempre qualcosa in cambio; mentre quando si vota nell’urna non si ottiene nulla indietro, a meno che non si abbia votato con la maggioranza. Qual’è il meno democratico? Un sistema in cui l’efficacia di un voto vari con una sola risorsa, o uno in cui il 49% della popolazione non abbia effettivamente alcun diritto di voto?

Chomsky è certamente ignaro che quello che definisce “il potere degli affaristi” dipende fondamentalmente dall’intervento del governo – come ha fatto notare come chiunque in questo rapporto. Annota:

Qualsiasi forma di potere concentrato, qualunque essa sia, non intende sottoporsi al controllo popolare e democratico o alla disciplina di mercato. I settori potenti, quali le ricche corporations, si oppongono naturalmente ad una democrazia funzionante, solo quanto si oppongono ad un mercato funzionante, per se stessi, perlomeno.

(Reflections on Democracy) Il grassetto è mio.

Se le corporations sono così terrorizzate dal libero mercato, perché Chomsky è così restio a lanciarcele dentro?

Forse ritiene che, sebbene il governo sia necessario per creare queste concentrazioni di potere privato, non lo sia per mantenerle, per cui eliminare lo stato a questo punto del gioco lascerebbe intatto il potere del business. Tutto ciò non è folle, ma ha bisogno di argomenti. Dopotutto, l’intervento sistematico del governo a favore delle grandi imprese, non è qualcosa avvenuto nell’età dell’oro, o nell’era progressista, o durante il New Deal; ma continua, massicciamente e costantemente. Non ho mai voluto affermare (anzi, ho voluto negare) che il potere privato dipenda solo ed unicamente dal sostegno dello stato; ma è difficile credere che tutto ciò che costituiscono gli aiuti di stato sia semplicemente superfluo, come se rimuovendoli il potere del mondo degli affari non si indebolisca sensibilmente.

Chomsky afferma (in Answers to Eight Questions on Anarchism) che, anche se si trova “in sostanziale accordo con le persone che si considerano anarco-capitaliste su tutta una serie di questioni” e anche di “ammirar(n)e il loro impegno di razionalità” guarda comunque alla versione di libero mercato dell’anarchia come “un sistema dottrinale, che, se mai attuato, porterebbe a forme di tirannia e di oppressione che hanno poche controparti nella storia umana”. Perché? Perché “l’idea di libero contratto tra i potentati economici e gli individui affamati è uno scherzo malato”.

Ma qui dà palesemente per scontato più di una cosa. Chomsky sta assumendo come fatto un punto su cui stiamo discutendo – vale a dire se senza l’intervento del governo a favore dei ricchi l’economia sia o meno suddivisa in “potentati” e “individui affamati”. Ora è vero che gli anarchici di mercato (per ragioni chiarite altrove preferisco evitare il termine “anarco-capitalista”) hanno essi stessi talvolta – sbagliando, a parer mio – descritto la loro economia ideale dipingendola in modo molto simile alla distribuzione di ricchezza e ai ruoli di lavoro presenti nella nostra economia, solo, con meno stato. Ma perché Chomsky dovrebbe prendere questo in parola? Se lo stato è davvero intervenuto massicciamente e sistematicamente per conto dei “potentati” e contro gli “individui affamati” - come Chomsky debbo ammettere sia, dal momento che la sua attività di ricerca dimostra proprio questo – perché si aspetta che continuino gli squilibri, una volta cessato l’intervento?

Non solo Chomsky sottovaluta le risorse dell’anarchia, ma sembra sovrastimare l’utilità dello stato. Egli scrive come se, anche se lo stato sta tutt’ora compiendo il male, questo potesse essere cambiato se un maggior numero di persone votassero correttamente. Ora è vero che le persone possono fare la differenza per quanto male possa fare un governo. (Se un numero sufficiente di tedeschi avesse votato diversamente nel 1932, potrebbero aver avuto un regime meno terribile.) Tuttavia, alla fine, quanto c’è di sbagliato in un monopolio coercitivo non è che sia la gente sbagliata a farlo funzionare, ma piuttosto che – lasciando da parte la relativa ingiustizia che ciò comporta – un monopolio di questo tipo porta incentivi perversi che non c’è modo di evitare (se non eliminando la fonte del problema, il monopolio, nel qual caso quello che si ha non è più uno stato).

buona lettura e buona libertà.
il mercato è libertà e questo lo sanno tutti i sinceri anarchici d'altronte quando si parla di libero scambio cosa s'intende???

Anonimo ha detto...

E' vero, non è semplice risolvere i problemi di queste “utopie” ed uso il termine in senso positivo, poiché non è detto che il problema del potere si possa risolvere. Malatesta infatti aveva diviso i termini “anarchia” ed “anarchismo” proprio a significare che l'ideale è un concetto a cui tendere sempre tramite le pratiche dell'anarchismo, ma a cui è impossibile veramente giungere.

Che Chomsky abbia detto delle cavolate e ci siano delle contraddizioni nel suo pensiero non è che mi interessi più di tanto, né ora ho intenzione di entrarvi. Comunque le sue analisi sulla società americana sono profonde e penetranti, non gli lascia scampo. E per quanto riguarda l'anarchismo credo non si definisca proprio tale, ma un pensatore più che altro simpatizzante dell'anarco-sindacalismo.

Ogni pensatore credo vada preso a sé per vedere veramente cosa lo spinge nelle sue analisi. Anche Marx teorizzava la fine dello stato, pur se sappiamo come sono andate invece le cose.

Per gli anarchici comunque, quelli “sinceri” (come dici, Domenico), il motore principale è la consapevolezza dell'illegittimità di ogni autorità che considerano per sua natura coercitiva. L'autorità è “ontologicamente” incompatibile con l'autonomia della persona. Questa coscienza è viscerale, prima ancora d'essere razionale. Tutto parte da qui e non dalla difesa della proprietà come diritto inalienabile e cose del genere. Dunque lo stato non è illegittimo, come per i “libertari di destra”, perché ruba, mi tassa e costa un sacco di soldi (questo è palese!), ma è illegittimo poiché la sua pretesa autorità NON può essere giustificata teoricamente in alcun modo! E dunque, “movimento arancione”, la coercizione del potere non è tollerabile in ogni caso! (Se ogni decisione è presa ed accettata veramente da ogni persona di una comunità allora non c'è coercizione, ma in tutti gli altri casi sì e non vi può essere alcuna giustificazione teorica, poiché è in ogni caso limitazione di autonomia).

Capite qual è il punto? Seppur si arrivi alla stessa conclusione riguardo allo stato (e non tutti lo fanno, visto teorizzano uno “stato minimo”), le premesse e la loro forza sono, a mio parere, differenti. Poiché, sempre a me pare, che la libertà di cui andate discorrendo sia solo “libertà di” (del singolo individuo) e non ANCHE “libertà da” (ovvero emancipazione dell'individuo nella società, libertà dai ruoli, dalle classi e da ogni forma di coercizione sociale come le prigioni, ad esempio).

Questo non vi porta, e non porta i pensatori a cui fate riferimento, a proporre non so... modelli nuovi di istruzione per far sì che la gente impari l'autonomia e la libertà, ma affermate semplicemente che il modello di istruzione statale non va e la soluzione risiederebbe nel privatizzare anche quella, non badando veramente ai contenuti. Il tutto secondo voi sta nel liberalizzare, ma ciò non vuol dire emancipare!

Lo stato è un potente mito nelle menti delle persone, è un modo di rapportarsi, di delegare le responsabilità: ciò porta un benessere ed un conforto poiché ci si comporta come bambini. I rapporti tra le persone, ovvero la società, si mutano capendo la forza dell'avversario nella testa di tutti, anche nelle nostre.

L'anarchico “moderno”, ben consapevole di questo, si impegna nel mutare le cose nel suo piccolo, nel suo ambiente poiché sa che non serve a nulla abolire lo stato con un colpo di spugna, poiché la gente è abituata a comportarsi in un certo modo e non in un altro e dunque riproporrà facilmente questi schemi mentali, gettandosi subito nelle mani di un altro dittatore.

Anonimo ha detto...

Ed anche il mercato, pur se sarà una bestemmia qui dentro, è dispotico, coercitivo e totalitario nella sua pratica e nella sua teorizzazione. Basti considerare la semplice analisi dei bisogni "indotti" artificialmente per alimentare i consumi e la produttività, per capire come alla gente, ai singoli, il mercato non consegna libertà ed autonomia, ma uniformizzazione ad un unico pensiero e modo di vita, escludendo in modo totalitario tutti gli altri. Uno dei dogmi è proprio "il libero mercato è libertà"; sembra lapalissiano, "libero" mercato... ma i "sinceri" anarchici analizzano quali sono o sarebbero le sue azioni ed i suoi presupposti.

Voi mi direte che è perché il vero libero mercato non ha mai fatto la sua apparizione; io invece vi dico che, a mio parere, siete miopi se non considerate che alcune grosse multinazionali già in realtà si muovono oltre i confini delle nazioni e degli stati, in modo libero ed autonomo dalle legislazioni ed anzi forzandole per proprio tornaconto.

I capitalisti ed il mercato hanno come unico scopo quello di accumulare capitale non di dare benessere e felicità alla gente. E soprattutto non di emancipare l'uomo.

La portata dell'anarchismo mi sembra molto più ampia, profonda e nobile.

Saluti.

Anonimo ha detto...

L'anarchico “moderno”, ben consapevole di questo, si impegna nel mutare le cose nel suo piccolo, nel suo ambiente poiché sa che non serve a nulla abolire lo stato con un colpo di spugna, poiché la gente è abituata a comportarsi in un certo modo e non in un altro e dunque riproporrà facilmente questi schemi mentali, gettandosi subito nelle mani di un altro dittatore.

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Questo, secondo me, vuol dire Chomsky quando parla di difesa dello Stato. La sua non è una difesa di per sé, del suo carattere, non vuol dire che è legittimo!, ma significa che se liberi dei bambini questi si andranno subito a gettare nelle mani di un dittatore ancora più subdolo!

Se poi volesse dire altro, a me non interessa. Ho detto ciò che intendo io.

Ciao.

Domenico Letizia ha detto...

Ed anche il mercato, pur se sarà una bestemmia qui dentro, è dispotico, coercitivo e totalitario nella sua pratica e nella sua teorizzazione.

antonio permettermi di drie la la visione che hai di mercato è ancora inesatta, in quanto se una multinazionale è divenuta tale lo deve allo statalismo e alla mancanza di concorrenza e ancora una volta alla creazione di cartelli e ai cuntributi pubblici che tutti pagano anche se non hanno una fiat (per esempio)
qui non si parla di mercato come utopia ma di mercato come scelta.
gli aanarocollettivisti per la maggior parte sono un pò come dire senza risposte.
se in una società libertaria a dieci di noi per far un esempio banale entriamo in una pizzeria e 9 decidono di prendere la margherita perchè il decimo non dovrebbe prendere altro? e se lo fa? dobbiamo impedirlo? se si ricreamo di nuovo lo statalismo e l'imposizone, la risposta anzi seconde me è la premessa è la libertà.
il modello economico a me non è quello, ma sono quelli e se voglio un libero mercato devo essere libro di averlo, come libero sarà colui di non voler il mercato.
ma permettimi di dire che oggi il mercato come viene attaccato va solo a difesa dello stato e ciò non fa bene all'anarchismo se di anarchismo parliamo.
il nostro compito deve essere quello di dare una risposta anatistatalista e di mercato perchè oggi l'altrenativa allo stato che ha il monopolio di tutto è quella, e qualcuno ci prova:
ti faccio un semplice esempio politico che spero ti stupisca anche perchè tra i firmatari c'è il grande teorico del mutualismo e il più famoso ANARCOSINDACALISTA americano (quindi non è poco) e tutti parlano di mercato '' ovviamente un altro mercato ma sempre di mercato'' perchè ora è la risposta l'unica probablie risposta alle imposizione di stato.
buona lettura:

L'agorista del Movimento dei Left-Libertarian, (Movimento della sinistra libertaria -o libertariana ) Brad Spangler, scrisse in occasione delle rivolte studentesce e operaie francesi (http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=488) una lettera aperta agli studenti e lavoratori consigliando come intraprendere questa conflittualità sociale.
Studenti e lavoratori Francesi, il professore Roderick Long scrisse una volta:
"Marx descrisse il governo francese come una compagnia per lo sfruttamento della ricchezza nazionale della Francia in beneficio dell'elitè borghese, egli ripeteva solamente quello che i libertari stavano dicendo da decenni."
Questo sono La Francia e tutte le altre Nazione che esistono oggi. Voi e noi viviamo in un mondo dove la libertà e l'opportunità economica esistono solo nel consenso di una classe politica che ci permette solo una piccola parte di ''economia'' per la sua convenienza e prende il resto mediante la forza e la coercizione attraverso il suo (proprio) parassitismo.
La liberazione dal mercato sovvenzionato per lo Stato è una barzelletta crudele. La legislazione contro la quale protestate e vi ribellate cerca restrizioni totali sulla vostra libertà che se fossero abolite queste restrizioni, vivreste la vostra prosperità. Crediamo che voi e noi possiamo essere utili insieme, attraverso una cooperazione e competizione pacifica.
Per queste ragioni, i firmatarii di questa lettera vi offrono la loro solidarietà e vi si presentano come Movement of the Liberertarian Left (MLL) che appoggia una forma rivoluzionaria di anarchismo di mercato o "agorismo."
Non staremo a dirvi come dovete intraprendere la vostra rivoluzione contro la tirannia. Abbiamo alcuni suggerimenti, tuttavia; una versione di strategia economica e politica chiamata "contro-economía". Raccomandiamo umilmente il piccolo libro del fondatore del MLL Samuel Edware Konkin III sull' agorismo, la contro-economía e la rivoluzione "The" New Libertarian Manifestò nella speranza che possiate trovarlo utile o di ispirazione. È disponibile on-line.

Firma
The Movement of the Libertarian Left
Agorà! Anarchia! Azione!

Brad Spangler, Diane Warth, Thomas L. Knapp, Adem Kupi, Wally Conger, J. Freeman Smith, Kevin Carson, M.D MacKenzie, Roderick T. Long, Jeremy Weiland, M.R Jarrell


per quanto rigurada l'educazione beh le tue parole le capisco ma non arrivi a nessuna coclusione fatto sta che oggi i bambini sono educati dal monopolio dello stato. punto. c'è alternativa?
le scuole private potrebbero essitere, le scuola non la scuola.. chi vieta di creare una scuola in un sistema libertario fatta di soli cattolici? e di soli atei? e di soli collettivisti? e di soli puitani? e di solo liberali? insomma il genitore deicderà dove mandare il figlio, querta è la liberalizzazione come la intendo io di certo non come berlusconi che non hao mai votato e che non voto perchè non voto e basta, petchè i partiti sono il male assoluto, che vuole sostenre le scuola private con i fondi pubblici, questo è andare contro il mercato e ancora una volta chi salta in mezzo: lo stato! che leggitima le forze dell'economia non è il contrario sia chiaro, perchè il contrario non può esserci senza stato.
kevin carson direbbe giustamente:il capitalismo come comunemente inteso sarebbe impossibile senza stato, pertanto il libero scambio non comporterebbe rischio di sfruttamento.
ecco il suo libero mercato anticapitasta e io in questi considerazione e ne suoi studi ci vedo molto di giusto, e si parla di mercato eh...
saluti,
bella discussione però

Anonimo ha detto...

Mi baso su quello vedo e so.

Innanzitutto mercato e capitalismo sono due concetti separati ovvero si può interpretare il mercato anche senza il capitalismo, come avviene per le cooperative ad esempio, il cui scopo non è unicamente l'accumulo del capitale e dei mezzi di produzione, ma un “confronto” etico e partecipato alle decisione di tutti i soci. Non so comunque se al capitalismo sia necessario lo stato e guardando alle multinazionali ho dei dubbi su questo.

In tale epoca di pensiero unico tutto si è mescolato e si mostra alla gente come imprescindibile: mercato-capitalismo-liberismo-globalizzazione. Questi concetti sono stati e sono già in azione ed io penso che siano sfuggiti di mano, non sono comprensibili, non esiste una “teoria economica”, ma sembra ci sia solo una ideologia soggiacente. Si tratta di dogmi: quello del mercato “perfetto”, dei concorrenti “perfetti”, della “mano invisibile” che regola il tutto e altri concetti sono stati mostrati da economisti stessi come teorizzazioni senza una base reale, perché si basano su condizioni inesistenti (non c'è simmetria delle informazioni tra coloro che contrattano, esiste la disoccupazione e cose del genere che non sono considerate in “teoria economica”).

Il mercato ha già attraversato profonde crisi che ne hanno mostrato i limiti e affinché si superassero le crisi è stato sempre lo stato ad intervenire (vedi la dottrina di Keynes). Anche ora la direzione sembra proprio questa: massiccio intervento dello stato, addirittura negli States! In Islanda, una piccola isoletta florida, si è giunti al tracollo finanziario e la gente ha assediato il parlamento ed ha costretto il governo a dimettersi (giorni fa): i politici che probabilmente verranno rieletti hanno già detto che agiranno proprio contro le leggi del mercato e contro gli organismi che controllano la globalizzazione. Le multinazionali degli stati se ne fregano da tempo, altro che statalismo, secondo me; hanno bilanci come quelli di piccoli stati e sono distribuite in tutto il globo e dunque trascendono le legislazioni delle singole nazioni. In più tutte le decisioni vengono prese a porte chiuse, come avviene nel WTO, al Fondo Monetario Internazionale e alla Banca mondiale.

Molta gente, economisti (ho letto ad esempio Stiglitz) stanno mettendo in guardia sul fatto che i dogmi su cui si basa questo modello vanno ridiscussi perché invece di portare alla diminuzione delle differenze nel pianeta le stanno accentuando.

Ora in tutto questo guazzabuglio c'è chi dice che l'unica via d'uscita è liberalizzare veramente il mercato. Io mi dovrei leggere i libri dei pensatori a cui fate riferimento, poiché ve lo dico francamente non so come si possa concepire che liberalizzando tutto, gli attuali capitalisti diventino di colpo “buoni” ed inizino ad agire “moralmente”. Voi direte: è il mercato che li punirà se accentrano il capitale. Il mercato? E che cosa è questo fantasma, questo “mercato”? Mi posso “fidare” di una “scienza” come quella economica che non è scienza, ma ideologia, come hanno iniziato a mostrare alcuni economisti stessi?

Queste sono le legittime domande da porsi, poiché in società con un libero mercato senza stati io immagino il più spinto darwinismo sociale ove tutti cercano di accaparrarsi tutto a scapito degli altri (altro che solidarietà), come avviene già ora: che cosa dovrebbe cambiare? Voi direte: cambia perché non c'è più lo stato che protegge chi va contro le leggi del mercato. Ma siete proprio sicuri che le catastrofi economiche del novecento ed anche questa attuale siano proprio dovute all'impunità che le banche e i capitalisti hanno ricevuto dagli stati? Penso invece che sia stato il carattere stesso del capitalismo, favorito dalla globalizzazione, che abbia prodotto le crisi e le bolle finanziarie. Mi dovrei leggere questo Karson ed il suo “libero mercato anticapitalista”.

In che consisterebbe?

Anonimo ha detto...

“La legislazione contro la quale protestate e vi ribellate cerca restrizioni totali sulla vostra libertà che se fossero abolite queste restrizioni, vivreste la vostra prosperità. Crediamo che voi e noi possiamo essere utili insieme, attraverso una cooperazione e competizione pacifica.”

Vivremmo nella prosperità? Ma allora ho ragione che tendete a semplificare un discorso complessissimo! Io con questo non concordo e le motivazioni le ho scritte in precedenza. Gli studenti? Quelli con anche le mutande firmate fatte da qualche bambino sfruttato in Indonesia? Quelli sanno o capiscono cosa vuol dire essere autonomi, liberi, emancipati dalle imposizioni della società? Quelli, a mio parere, sono i classici brocchi ovvero i primi che finiranno tra le grinfie di un nuovo potere autoritario anche se lo chiameranno “libertà”. Sono già soggetti alle leggi del mercato che impone nuovi artefatti bisogni per aumentare produzione e profitti: questo per un anarchico, uno vero, di quelli viscerali... è inconcepibile! Ovvero allontana dall'uomo, dalla sua essenza, se esiste. Come diceva proprio Camillo Berneri Anarchia e Umanesimo dovrebbero andare di pari passo!

Quando invece gli uomini mettono al primo posto non l'uomo, ma l'aumento di proprietà e di profitto, ecco che sia l'Umanesimo che l'ideale dell'Anarchia se ne vanno a farsi benedire!

Sbandierare, dunque, la parola "libertà" come avesse un qualche potere taumaturgico è pericoloso ed immorale come molti anarchici sanno bene. Altri credono che il momento “rivoluzionario” sia necessario, ma personalmente non ci credo ed ho detto il perché.

Che la libertà sotto lo stato sia una barzelletta crudele sono pienamente d'accordo, ma che con un coup de theatre si possa cancellare e rendere autonome le comunità e la gente continua a sembrarmi non un'utopia, ma una distorsione della storia, poiché essa ci mostra chiaramente come ogni rivoluzione sia stata seguita dalla restaurazione di un potere più potente, visto la gente è rimasta tal quale (vedi rivoluzione francese, russa, cinese, etc.). Un barlume di speranza ce l'ho quando osserva quella spagnola prima della seconda guerra mondiale: lì l'anarchismo, seppur in condizioni difficili e di povertà, sembrava davvero non lontano, anche se poi i dittatori del novecento (tutti d'accordo) hanno pensato bene di soffocare quell'esperienza nel sangue.

La tirannia è prima di tutto interiore; quella esteriore non è che sua espressione. Il processo è lento e gli anarchici, quelli moderni, sanno bene che loro non vedranno realizzati i loro ideali, pur essendo il loro ruolo critico fondamentale nelle nostre società. La volontà di accelerare questo processo, l'ansia esistenziale verso un modo di vita differente io la comprendo, è stata ed è anche mia; ma comprendo pure che la storia dell'uomo ha i suoi tempi e non credo che forzarli sia buono, semplicemente perché non si può.

Saluti.

p.s. Per quanto riguarda l'istruzione in senso libertario, in Gran Bretagna si sono tentati e sono presenti vari esperimenti di scuole alternative, nella direzione del non autoritarismo e dell'ordine spontaneo.

Domenico Letizia ha detto...

Innanzitutto mercato e capitalismo sono due concetti separati ovvero si può interpretare il mercato anche senza il capitalismo, come avviene per le cooperative ad esempio, il cui scopo non è unicamente l'accumulo del capitale e dei mezzi di produzione, ma un “confronto” etico e partecipato alle decisione di tutti i soci.


ecco iniziamo a capirci, kevin carson questo se voglio semplificare dimostra con i suoi studi.

In tale epoca di pensiero unico tutto si è mescolato e si mostra alla gente come imprescindibile: mercato-capitalismo-liberismo-globalizzazione.

questo lo fanno i governi perchè il mercato espirela sua voce attraverso le istituzioni.


multinazionali degli stati se ne fregano da tempo, altro che statalismo, secondo me; hanno bilanci come quelli di piccoli stati e sono distribuite in tutto il globo e dunque trascendono le legislazioni delle singole nazioni. In più tutte le decisioni vengono prese a porte chiuse, come avviene nel WTO, al Fondo Monetario Internazionale e alla Banca mondiale.



la multinazionale vive perchè in contato con le istituzioni governative e il fatto che mi citi il wto e il FMI appunto è quello che dico.


Ora in tutto questo guazzabuglio c'è chi dice che l'unica via d'uscita è liberalizzare veramente il mercato.


ecco in queste parole permettimi di dire vedo la tua ostinazione, a parte un pregiudizio contro il mercato a prescindere io non ho mai detto che deve finire così. ma se questo sarebbe la volontà di parte del globo, ognuno farà le sue scelte economiche.

e ti lascio alcuni appunti di fidone:

(Alcuni appunti di D. Fidone)

E' ormai generalmente riconosciuto (tranne dagli statalisti più ottusi) che il sistema di mercato è, per chi ne può fare uso, quello preferibile. Allora la soluzione più logica non è tentare di limitarlo, ma renderne possibile l'accesso a tutti.
E questo si può ottenere pienamente proprio abolendo lo stato, che attraverso i suoi monopoli (in particolare quello della moneta e della legittimazione/protezione dei diritti di proprietà) rende il benessere economico prerogativa di pochi.
La libertà monetaria comporterebbe infatti credito accessibile a tutti e quindi chance per tutti, anche partendo da zero. Caduto l'obbligo di accettazione della valuta nazionale, la concorrenza di più monete private sullo stesso territorio costringerebbe gli istituti di emissione ad incentivare la creazione di ricchezza fruibile dalla propria utenza, concedendo finanziamenti a prescindere dalla presenza o meno di garanzie, con il solo obbligo di accettare la moneta dell'ente finanziatore una volta avviata l'attività economica finanziata. In tal modo praticamente tutte le idee o capacità individuali potenzialmente fruttuose troverebbero finanziamenti, anche se provenissero da nullatenenti.
Inoltre la libera concorrenza nella formazione e protezione dei diritti di proprietà comporterebbe una loro distribuzione più equa e più conveniente per tutti, senza privilegi o rendite parassitarie garantite a pochi.
Queste considerazioni completano quelle esposte da Giavazzi e Alesina ne "il liberismo è di sinistra", ove ovviamente viene presa in considerazione solo quella parte sia pur importante di liberismo che di per sè non necessiterebbe, almeno teoricamente, l'abolizione completa dello stato......


per qunto riguarda la pedagogia libertaria, diplomatomi al pedagogico e lavorando in case famiglie mi piace discutere di questo argomento e ti lascio questo sito davvero ottimo (in italia) fammi sapere che ne pensi: http://scuolalibera.blogspot.com/

Domenico Letizia ha detto...

l'anarchismo, seppur in condizioni difficili e di povertà, sembrava davvero non lontano, anche se poi i dittatori del novecento (tutti d'accordo) hanno pensato bene di soffocare quell'esperienza nel sangue.


questa è una bella discussione.
la rivoluzione spagnola è stato anche se per poco una buona gestione libertaria o almeno nelle zone dove gli anarchici con la libertà avevano portato ordine, e infatti in queste zone si sviluppo il mercato ''buono'' basti ricordare che quando gli anarchici si opposero alle collettivizzazzioni forzate succese il putiferio con i comunisti e proprio il maestro del possibilismo berneri venne eliminato dai comunisti e a propositi di berneri c'è un bella lettera inviata da lui a gobetti sul giornale rivoluzione liberale, te la lascio:

Berneri era nato il 20 maggio 1897. La salute cagionevole e la madre mazziniana separata dal padre, segretario comunale a Lodi, gli contorsero l'infanzia. Però, in vita modesta ma elitaria, girò con lei l'Italia delle rivolte: tra cuori generosi e menti spregiudicate e tenaci. Quindicenne era seguace del socialista reggiano Prampolini, e nel 1915 si trovò, ad una riunione antimilitarista contro Cesare Battisti, costernato davanti a due manifestanti morti. Poi Torquato Gobbi gli fu maestro, nelle sere brumose lungo la via Emilia, sotto i portici che risuonavano dei suoi baldi tentativi di resistere: convenne d'essere nato anarchico entusiasta. Anche perciò si sposò minorenne, ad Arezzo, con un'allieva della madre.


Appena in tempo per essere arruolato nella Grande Guerra e continuare la propaganda. Scoperto, venne spedito in prima linea e ferito. Quindi, a guerra finita, venne confinato dalla Regia Questura a Pianosa, anarchico schedato. Ne convenne: la società attuale è detestabile, bisognava prediligere la minoranza, parte eletta. A fianco di Malatesta e Fabbri, che l'amavano come un figlio, fu avversario della tirannia fascista. Ma era troppo libero, persino per gli altri anarchici, che paradossali scrivevano al loro leader storico Malatesta, protestando che certe sue idee erano così inattese e fattori di disgregazione interna. Faticò a studiare perché molto miope, ma nel 1922 si laureò con Gaetano Salvemini e divenne amico di Ernesto Rossi, Gobetti e Rosselli. La generalità degli anarchici era atea, lui non pensava a Dio; i più erano per un'economia comunistica, lui voleva la concorrenza tra lavoro e commercio cooperativi e individuali.
Soprattutto, poi, Berneri negava sì l'autorità di ogni Stato centrale, però gliene piaceva molto uno federale e d'autonomie.Giudicava degli invasati i comunisti, ottusi dalle pedagogie dispotiche e bigotti di una operaiolatria che derideva: «Non contenti della "anima proletaria", hanno tirato fuori "la cultura proletaria"».
Leggendo L'Ordine Nuovo , riconobbe le patologie provinciali di Gramsci e se l'immaginava piovuto a Torino dalla nativa Sardegna e preso dagli ingranaggi della metropoli industriale: la letteratura bolscevica russa gli pareva pantografare l'identico processo psichico. Un anarchico così perspicace non poteva piacere ai fascisti, che gli negarono la cattedra e s'abituarono a picchiarlo. Nella primavera del 1926 fuggì quindi in Francia, costretto a umilissimi mestieri per sfamare la moglie e le due bimbette che lo raggiunsero. Berneri riuniva le ingenuità e tutti gli slanci del più puro anarchico con un'intelligenza senza astuzia, e però meditativa. S'accorgeva di quanto fosse malata la ristagnante ossessione settaria, che rovinava la vita degli esuli non meno della miseria. D'altra parte, essendo ingenuo, era predestinato ad esserne la prima vittima. Nel 1928, espulso in Belgio, elogiò l'attentato al principe Umberto di Savoia e, con gli evasi di Lipari di Giustizia e Libertà, fu implicato nel progetto d'attentato al ministro Rocco in visita. Ma si lasciò consegnare proprio dalla spia Menapace un pacco di cheddite e finì altri mesi e mesi in prigione, come gli riaccadde con le riespulsioni in Francia e Germania. La guerra di Spagna lo sorprese nei dubbi, mentre s'era deciso a scrivere «una specie di lirica in prosa delirante». Partecipò ai combattimenti come semplice miliziano, ma i suoi compagni insistettero perché rientrasse a Barcellona: era così miope e sordo; ma soprattutto era più adatto ad altro. Mediò i contrasti tra gli anarchici e Gl; e avversò gli omicidi stalinisti; e quindi Togliatti, che Berneri riconobbe per il professorino pedante, di «perentorietà asinesca», che era. Le gesta che gli costarono la vita. Eppure in Italia abbondano le vie intitolate a Togliatti e agli altri complici dei suoi peccati. Non ce n'è un granché dedicate a Berneri.
Ripetendo In economia Berneri diceva: “sul terreno economico gli anarchici sono possibilisti, sul terreno politico sono intransigenti al cento per cento!” Ovvero, se la critica allo stato e la negazione del principio di autorità erano mete irrinunciabili, la forma economica anarchica doveva rimanere aperta, e che si dovesse sperimentare la libera concorrenza tra lavoro e commercio individuali e lavoro e commercio collettivisti. La collettivizzazione coatta era quindi da condannare se frutto dell'imposizione e non della libera scelta: l'anarchia non doveva portare ad una società dell'armonia assoluta, ma alla società della tolleranza.

Di seguito pubblico una sua lettera a Piero Gobetti, che dimostra quanto labili siano in realtà le barriere tra i pochi che, nel nome della libertà, si oppongono al potere oppressivo dello stato.

Il liberismo nell'Internazionale

di Camillo Berneri

Caro Gobetti,

m'è accaduto più volte, trovandomi a discutere delle mie idee con persone colte, di dover constatare, per le domande rivoltemi e per le obbiezioni mossemi, che il movimento anarchico, che pure fa parte, e non piccola, della storia del socialismo, è o semi-ignorato o malamente conosciuto. Non mi sono, quindi, stupito, leggendo l'articolo del prof. Gaetano Mosca sul materialismo storico, nel vedere annoverato tra i socialisti utopisti il Proudhon, che rimarrebbe mortificato nel vedersi posto a braccetto con quel Blanc, che egli saettò con la più aspra ironia per aver posto “l'Eguaglianza a sinistra, la Libertà a destra e la Fratellanza in mezzo, come il Cristo fra il buono e il cattivo ladrone.”

Per escludere il Proudhon dagli scodellatori della zuppa comunista, basterebbe la critica alla formula, che divenne poi il credo Krapotkintano “da ciascuno secondo le sue forze ed a ciascuno secondo i suoi bisogni,” formula che egli chiama una casuistica avvocatesca, poiché non vede chi potrà fare la valutazione delle capacità e chi sarà giudice dei bisogni. (Cfr. L'Idée générale de la Révolution au dix-neuviéme siécle. - Garnier, Paris, 1851, p. 108).

L'errore in cui è caduto il Mosca è interessante, poiché dimostra come sia sfuggito a molti studiosi della storia del socialismo questa verità: che il collettivismo dell'Internazionale ebbe un valore essenzialmente critico. Fatto che è stato negato anche da alcuni anarchici, come da L. Fabbri, che sostiene essere l'anarchismo "tradizionalmente e storicamente socialista" in quanto ha per base della sua dottrina economica "la sostituzione della proprietà socializzata alla proprietà individuale" (cfr. Lettere ad un socialista; Pensiero - 1910, n. 14, p. 213).

Basta una rapida scorsa alla storia della Iª Internazionale per smentire questa affermazione. L'Internazionale nacque in Francia, nell'atmosfera ideologica del mutualismo proudhoniano, e, come dice Marx in una sua lettera relativa al Congresso di Ginevra (1866), non aveva, nel suo primo tempo, espressa alcuna idea collettivista né comunista. Il rapporto Longuet nel Congresso di Losanna (1867) dimostra che Proudhon dominava ancora. E tale dominio si riscontra nel Congresso di Bruxelles (1868), in cui, tuttavia, si affacciò l'idea collettivista, ma in modo generico e limitata alla proprietà fondiaria e alle vie di comunicazione. La collettivizzazione affermata nel IV Congresso, quello di Basilea (1869), fu limitata al suolo. L'influenza praudhoniana, dunque, è parallela all'anti-comunismo e all'anti-collettivismo.

Al collettivismo aderirono Bakounine e seguaci; ma vedendo in esso più che un progetto di forma economica, una formula di negazione della proprietà capitalista. Bakounine era entusiasta di Proudhon. Egli (Cfr. Oeuvres, I, 13-26-29) esalta il liberismo nord-americano [non erano ancora sorti i trusts], e dice “La libertà dell'industria e del commercio è certamente una gran cosa, ed è una delle basi essenziali della futura alleanza internazionale fra tutti i popoli del mondo.” E ancora: “I paesi d'Europa ove il commercio e l'industria godono comparativamente della più grande libertà, hanno raggiunto il più alto grado di sviluppo.” L'entusiasmo per il liberismo non gli impedisce di riconoscere che fino a quando esisteranno i governi accentrati e il lavoro sarà servo del capitale “la libertà economica non sarà direttamente vantaggiosa che alla borghesia.” In quel direttamente vi è una seconda riserva. Infatti egli vedeva nella libertà economica una molla di azione per la classe borghese, che egli afferma essere ingiusto considerare estranea al lavoro (Cfr. Oeuvres, I, pp. 30 e segg.), e non poteva non riconoscere la funzione storica del capitalismo attivo. Interessanti sono anche i motivi delle simpatie del B. per il liberalismo nord-americano, poiché ci spiegano che cosa egli intendesse per proprietà.

Il B. fa presente che il sistema liberista nord-americano “attira ogni anno centinaia di migliaia di coloni energici, industriosi ed intelligenti,” e non si impressiona punto all'idea che costoro divengano, o tentino divenire, proprietari.

Anzi, si compiace che vi siano coloni che emigrano nel Far West e vi dissodino la terra, dopo essersela appropriata, e nota che “la presenza di terre libere e la possibilità per l'operaio di diventare proprietario, mantiene i salari ad una notevole altezza ed assicura l'indipendenza del lavoratore” (Cfr. Oeuvres, I, 29).

La concezione del valore energetico della proprietà, frutto del proprio lavoro, è la nota fondamentale della ideologia economica del B. e dei suoi più diretti seguaci. Tra questi Adhémar Schwitzguébel, che nei suoi scritti (Cfr. Quelques écrits, a cura di J. Guillaume, Stock, Paris, pagina 40 e seguenti) sostiene che l'espropriazione rivoluzionaria deve tendere a concedere ad ogni produttore il capitale necessario a far valere il suo lavoro. La dimostrazione storica dell'anti-comunismo bakunista sta nel fatto che le tendenze comuniste nell'Internazionale italiana trionfarono nel 1867, quando l'attività del Bakounine era quasi interamente sospesa (Cfr. Introd. del Guillaume alle Oeuvres de B., p. XX) e nel fatto che in Spagna, ove l'Alleanza aveva piantato profonde radici, perdura una corrente anarchica collettivista in senso bakunista.

Se il collettivismo dell'Internazionale fosse stato compreso dal Mazzini non ci sarebbe stato il fenomeno della sua critica anti-comunista. Così criticava il Mazzini: “L'Internazionale è la negazione di ogni proprietà individuale, cioè di ogni stimolo alla produzione... Chi lavora e produce, ha diritto ai frutti del suo lavoro: in ciò risiede il diritto di proprietà... Bisogna tendere alla creazione d'un ordine di cose in cui la proprietà non possa più diventare un monopolio, e non provenga nel futuro che dal lavoro.” Saverio Friscia, nella “Risposta di un internazionalista a Mazzini,” (pubblicata sopra il giornale bakunista L'Eguaglianza di Girgenti, e ripubblicata dal Guillaume, che la trova superba e l'approva toto corde [Cfr. Oeavres de B., vol. VI, pp, 137-140]) rispondeva: “Il socialismo non ha ancora detto la sua ultima parola; ma esso non nega ogni proprietà individuale.” Come lo potrebbe, se combatte la proprietà individuale (leggi: capitalista) del suolo, per la necessità che ogni individuo abbia un diritto assoluto di proprietà su ciò che ha prodotto? Come lo potrebbe se l'assioma “chi lavora ha diritto ai frutti del suo lavoro, costituisce una delle basi fondamentali delle nuove teorie sociali?”. E dopo aver analizzato le critiche del Mazzini, esclama: “Ma non è questo del puro socialismo? Che cosa volevano Leroux e Proudhon, Marx e Bakunin, se non che la proprietà sia il frutto del lavoro? E il principio che ogni uomo deve essere retribuito in proporzione alle sue opere, non risponde forse a quell'ineguaglianza di attitudini e di forze ove il socialismo vede la base dell'eguaglianza e della solidarietà umana?.”

In questa risposta del Friscia è netta l'opposizione della proprietà per tutti alla proprietà monopolistica di alcuni; il principio dell'eguaglianza relativa (economica); ed in fine il principio dello stimolo al lavoro rappresentato dalla ricompensa proporzionata, automaticamente, alle opere.
Non pensi, caro Gobetti, che potrebbe essere utile, su R. L., una serie di studi sul liberalismo economico nel socialismo? Credo colmerebbe una grande lacuna e leverebbe di mezzo molti e vecchi equivoci. Credo ne risulterebbe, fra le tante cose interessanti, questa verità storica: essere stati gli anarchici, in seno all'Internazionale, i liberali del socialismo. Storicamente, cioè nella loro funzione di critica e di opposizione al comunismo autoritario e centralizzatore, lo sono tutt'ora.

Tuo C. Berneri.


http://brigantilibertari.blogspot.com/2008/08/camillo-berneri-un-gran-libertario.html


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