mercoledì 21 maggio 2008

MULTICULTURALISMO O RAZZISMO?

di Ismael

Le recenti polemiche antirazziste di alcuni esponenti del governo spagnolo contro il neoeletto esecutivo italiano, presto rimbalzate nell’aula europarlamentare di Strasburgo grazie alla scarsa simpatia epidermica delle sinistre assise colà (comunisti vari ed eventuali, Pse, Verdi, Liberaldemocratici) per il Cav, con ogni probabilità fa parte di una strategia del discredito mediale orchestrata da una koiné progressista in vistoso affanno su quasi tutte le piazze continentali.

Fatta la tara alla strumentalità di questo ennesimo atto del teatrino politico globale, però, torna a imporsi un’attenta riflessione sul tema dell’immigrazione e, quindi, del rapporto tra libera circolazione e identità.

A tal proposito, sul piano strettamente politico, mi trovo abbastanza in disaccordo con la linea espressa dalla nuova maggioranza di governo. Malgrado la Destra persista nell’individuare la fonte di tutte le nequizie migratorie sul lato della domanda, lavorando per iscrivere la clandestinità alle fattispecie di reato, continuo a ritenere più urgente colpire il rigoglioso lato dell’offerta.

Certo, la coalizione Pdl-Lega fa di necessità virtù quando stabilisce che, per entrare legalmente in Italia, occorre presentare i requisiti materiali a un’integrazione decorosa (lavoro, alloggio), l’assenza dei quali – combinata all’alienazione da sradicamento - ha gioco facile a incentivare il rifugio nella malavita. E la faccia dell’ex ministro Ferrero acquista tinte bronzee quando, durante l’ormai rituale comparsata televisiva in fregio al “diritto di tribuna” per trombati rossi, pronuncia accigliate condanne contro la regolazione paracensuaria dei flussi giacché quest’ultima “alimenterebbe il mercato delle sponsorizzazioni sommerse”. A parte il fatto che la congruità delle fonti di guadagno può essere debitamente sottoposta a controlli incrociati (Visco docet), quella di Ferrero sembrerebbe la solita giaculatoria comunarda contro i divieti in sé: se lo scopo di sanzionare gli illeciti fosse davvero quello di “prosciugare l’illegalità”, avremmo da tempo depenalizzato il furto d’auto.

Sinistrate a parte, rimane il fatto che istituire il reato d’immigrazione clandestina caricherebbe la magistratura di notevoli aggravi economico-gestionali, per non parlare dei nefasti effetti di una simile misura sul già critico livello di congestione delle carceri. L’unica valida alternativa che rimane in campo, piaccia o meno, è quella di stroncare il favoreggiamento. Ossia di perseguire, a titolo d’esempio, pratiche come il caporalato e il subaffitto multiplo: si tratterebbe di lanciare massi nella piccionaia di malaffari tutti italiani, con quanto ne conseguirebbe sotto il profilo del consenso politico (minore) e della monitorabilità dei fenomeni correlati (maggiore). Cambiare direzione nel senso di una maggiore severità con gli italiani che approfittano illegalmente di manodopera a basso costo e di locazioni ad alto rendimento, dopotutto, sarebbe la prova tangibile della capacità di sfidare davvero l’impopolarità pur di assumere le iniziative giuste – quella che dovrebbe essere l’autentica cifra politica del nuovo governo.

Ponendomi invece sul piano “dottrinale”, le giuste premesse teoriche a provvedimenti come quelli appena indicati non possono non guardare con preoccupazione sia al razzismo che al multiculturalismo. In un’epoca devastata dall’antinomianesimo, siamo nuovamente di fronte a un tipico esempio di opposti simpatetici: i due “partiti” ideologici si contrappongono quanto a gusti, ma condividono la stessa visione olista (tesa cioè a esaltare il tutto rispetto alle sue parti) dell’antropologia politica. Sia che ci si riferisca al concetto di razza sia che ci si rifaccia a quello, più ampio e ambiguo, di etnia, il peccato originale di questi modi di pensare sta nel legare l’identità culturale alla variabile “purezza”. Per lo xenofobo come per il politicamente corretto esistono etnoculture immobili, fossilizzate, da mantenere sottovuoto in altrettanti ghetti incontaminati.

Se, al contrario, guardiamo all’attributo “forza”, il discorso muta radicalmente. Un’identità, io credo, è davvero “forte” quando riesce a coniugare il basarsi su principi condivisi, inevitabilmente espressione di un “senso comune” maggioritario, all’apertura nei confronti della forza innovatrice delle libere individualità, anche di quelle “forestiere”. Penso alla Repubblica di Venezia, a Israele, agli Stati Uniti – guardacaso realtà capaci di assorbire e valorizzare al loro interno molteplici apporti culturali puntando sull’umanesimo e suoi capisaldi, tra i quali spicca sicuramente la dignitate hominis di Pico della Mirandola.

Continuando a battere il sentiero del multirazzismo, della società a compartimenti stagni, non ci vorrà molto affinché l’intolleranza dilaghi senza nemmeno aver bisogno delle tensioni etniche come pretesto. Bastano poche generazioni da “separati in casa”, infatti, per balcanizzare anche i consorzi sociali più coesi.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Troppa grazia, verrebbe da dire: leggo sul Corriere Liberista di Gianrocco Ambrosiano che il pacchetto sicurezza prevede la confisca dell'immobile per chi affitta ai clandestini: peccato che così se ne vada in fumo il diritto alla proprietà privata...ma una (salatissima!) sanzione amministrativa non faceva all'uopo? E' proprio il caso di dire che si passa sempre da un estremo all'altro.

Anonimo ha detto...

Per non far fatica riciclo un mio vecchio commento in risposta a chi mi chiedeva quale fosse, per me, "il confine tra il guardare indietro tradizionalista e l’andare avanti avendo ben presente come e dove sono piantate le tue radici".

Il confine? Il confine è la coscienza che le radici vanno più in profondità di una lingua e di una cultura. L’identità nazionale o della piccola patria regionale (che noi veneti sentiamo ancora moltissimo) non devono essere violentate, ma nemmeno possono essere poste su di un piano metafisico. Ciò significa che esse, prima o dopo, sono destinate a morire; o meglio a trasformarsi e a rifondersi nel futuro (lontanissimo) in un’altra realtà culturale. Ma noi vediamo però che proprio i paesi che accettano quel quotidiano cambiamento che è un po’ come la necessaria respirazione di un corpo; cioè quei paesi “liberali” che in teoria il libero scambio delle idee e dei commerci dovrebbe sconvolgere in breve tempo; noi vediamo che questi paesi in realtà conservano benissimo e meglio degli altri una propria identità e un integro e sano patriottismo. Noi vediamo come i britannici sappiano essere solidali tra loro quando sono sotto pressione; o come gli americani a volte sbandierino dai buchi di ogni porta e finestra un patriottismo perfino esagerato. E non è certo un caso (ed a nostra gloria locale) che nella nostra arlecchinesca storia nazionale devastata da Signorie e eserciti mercenari sia stata proprio la “capitalista” Repubblica di Venezia nei momenti di difficoltà a mostrare una maggiore coesione sociale. Quando manca questa dinamica di libertà, si ondeggia sempre fra umiliazione e aggressività; fra la copia “patologica” delle mode straniere e il nazionalismo violento (basti pensare al secolare rapporto che la Russia ha avuto con l’Europa). Come ho scritto una volta quel “One nation, under God” non significa un richiamo al militantismo religioso, bensì un richiamo alla temperanza: c’è una gerarchia, prima viene Dio e l’Assoluto e l’Eterno (per chi ci crede), poi viene lo Stato (la Nazione, il Popolo, la sua Cultura). Quando si mette quest’ultimo al posto di Dio, non solo non acquista l’eternità ma nemmeno campa a lungo.

Il problema di multiculturalismo e razzismo, come fai capire, è sempre il solito: l'emarginazione dell'individuo come vero intelocutore; un concetto totalizzante ("ideologico" o "idolatrico")di cultura, anche quando essa sia intesa teoricamente come la fusione di più culture. Tutto questo però porta sempre alla conflittualità e al regresso tribale. Invece è solo in un contesto dove l'individuo primeggia che le culture possono fondersi e arricchirsi a vicenda, perché il primo rappresenta ciò che è assoluto e le seconde ciò che è relativo.

In Europa, e in Italia, il pendolo sta oscillando dal superficiale multiculturalismo verso un nervosismo "razzista". E' un'inevitabile scossa di assestamento, non sarei preoccupato più di tanto. Certo, se i "liberali" invece di limitarsi a gridare come al solito "che schifo questo mondo", dimostrassero un certo fattivo pragmatismo politico non sarebbe proprio male...

Anonimo ha detto...

Secondo il mio parere questo nervosismo "razzista" non è un'inevitabile scossa di assestamento e non è destinato a finire se non corriamo ai ripari. Posso dire di non essere razzista perché la mia è una famiglia multietnica e multiculturale. Ho parenti nell'Italia del Nord, ma anche in Germania, Venezuela e Australia.Gli italiani per natura non sono "razzisti" ma se si incomincia con la " caccia al rumeno", se i media blaterano sempre sul " "pericolo incombente" dei rom che rubano i bambini, sulla violenza degli extracomunitari, allora la gente si lascia coinvolgere emotivamente e possono succedere fenomeni di xenofobia.La brava gente (così come quella malvagia) esiste sia tra gli italiani come pure tra gli stranieri. E' incredibile ma dopo le decisioni del governo, anche a Caltanissetta la gente (per natura molto ospitale) incomincia a dire che il marocchino o la badante rumena "rubano il lavoro" e devono andarsene. Insomma: UNA GUERRA TRA I POVERI". Sono d'accordo che ci vogliono leggi adeguate. Chi è onesto e viene per lavorare sia ben accetto, chi invece viene per delinquere deve essere rimandato al paese di origine. Non si deve comunque generalizzare. Sono stati forse gli stranieri a uccidere il ragazzo di Verona? E la ragazzina di Niscemi non è stata massacrata da tre coetanei siciliani? Come la mettiamo? Come il grande inventore della teoria della relatività anch'io dico che esiste una sola razza, quella UMANA.

Anonimo ha detto...

Parlavo di "scosse d'assestamento" e di preoccupazioni in termini "epocali" e quindi non escludo spiacevoli conseguenze a livello di fatti di cronaca. "Inevitabili" non significa "giustificate". L'involuzione identitaria - identitaria nel senso ideologico del termine - in Europa non è altro però, per parlare in soldoni, che la risposta all'Europa "relativista". Non mi piace, però, realisticamente, è questa la fenomenologia spicciola della storia. La bravura del politico "disinteressato" e di qualche ambizione sta nell'arginare, raccogliere e canalizzare in qualcosa di costruttivo queste pulsioni. Un compito spesso maleodorante. Giolitti fu senza dubbio uno dei pochi statisti italiani, ma ne ebbe in cambio il nomignolo di "ministro della malavita"...

Cervo ha detto...

"peccato che così se ne vada in fumo il diritto alla proprietà privata..."

Quanta ideologia:
guarda che mica gli sequestrano TUTTI gli immobili e gli proibiscono di possedere qualunque cosa per tutto il resto della sua esistenza. Gli sequestrano solo l'immobile con il quale ha commesso reato.

Certo che per chi crede quando si compie un qualunque reato basta "risarcire in solido" e tutto si conclude lì, questo provvedimento deve essere un pò difficile da comprendere.

Che tristezza.

Peccato che non sequestrino anche le aziende di chi impiega immigrati clandestini in nero.

Dopo: le botte da parte lavoratori regolari che hanno perso il posto a causa dell'imprenditore coglione del quale si sono fidati.

Anzi no: ma magari lo stato potrebbe rivendere l'azienda a qualche altro imprenditore che non abbia precedenti di questo tipo.


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